I GUARDIANI

I GUARDIANI

 

 

 

Il n´ya pas de soleil sans ombre, et il faut connaitre la nuit. 

(A.  Camus, Le mythe de Sisyphe)

 

È la terra l 'elemento dei guardiani.

Di colore indefinito, impalpabile

e paziente, penetra assorbe si fa spazio

negli interstizi, favoriti dal sorriso

compiacente del dio che splende

e regna altrove,  il Sole.

 di Luciana Zollo

 

Non riesco a volerne ai miei guardiani, e neppure ai guerriglieri che mi hanno rapito in nome della loro causa, che non mi sento di giudicare. Se potessi, manderei a dire a chi è fuori, alla me stessa di prima, ai miei amici, ai miei fratelli: rifiutatevi di restare bambini per sempre. Fate pure la vostra strada, le vostre scelte, ma ad un certo punto accettate la vostra ombra. Non ostinatevi ad inseguire il Sole a tutti i costi. Potreste esserne accecati.

 

 


  

Siamo arrivati all'ultimo rifugio. Ho la sensazione che, dopo tanti spostamenti, ci fermeremo qui, ad aspettare.  Dopo la confusione e la disperazione dei primi momenti e delle prime settimane, ora le giornate scorrono una dopo l'altra senza sorprese, né emozioni. Non provo più stanchezza, né insofferenza, né rabbia, né autocommiserazione. Mi sento compatta, avvolta in una consapevole lontananza da tutto e da tutti che è la concrezione, il punto di arrivo delle mie scelte: il distacco dalla famiglia, il lavoro come assistente sociale volontaria, la destinazione in un paese africano, le mutate condizioni di vita. Tutto mi era stato spiegato in anticipo durante gli incontri di formazione, nei formulari da riempire, nei dossier da leggere, nei racconti dei predecessori e degli istruttori. Tutto si poteva prevedere, compresi i contrattempi ed i cambiamenti di rotta. E allora quando succede il fatto – che ti aggrediscono, o ti rapiscono, o ti uccidono per ragioni non facili da precisare – si finisce sui giornali, nel tuo paese e nel mondo. Infine, qualsiasi sia l´esito della vicenda, la cosa finisce lí, assieme alla tua missione, al progetto, al sogno di un possibile successo.

 

 

 

Ora, nell'attesa, c’è tempo per pensare e per ricordare. Il passato ritorna continuamente su due scene, quella delle vacanze trascorse da bambina in Brianza e quella recente delle giornate di lavoro al villaggio, qui, in Africa. Il sole illumina entrambe. Ardente sull'agglomerato precario di casotti dove sono arrivata dopo un viaggio che sembrava infinito e dove mi ha abbracciato, rumoroso, paziente e generoso, il ritmo delle giornate con i bambini che mi aspettavano. Le grida, le canzoni, i  loro e i nostri giochi, le mosche amiche del sole sempre pronte a giocare anche loro. Sento ancora il bruciore sulla pelle e vedo correre i loro piccoli piedi nudi, sporchi di terra rossa e di fango.

 

 

 

L’altro sole che ritorna ai miei sensi è quello più dolce delle estati in campagna, quando ad andare scalza ero io sull'erba pungente di agosto, dopo la mietitura, assieme ai  cugini, mentre risalivamo la collinetta sul prato oltre la piantagione di granturco.

È sempre il ricordo del sole che, nelle ore senza tempo, riscalda le voci del passato: le grida complici delle nostre scorribande ed i richiami accorati delle mamme, che puntualmente ignoravamo, e, più vicini nel tempo, i suoni delle  parole in  lingue straniere e le conversazioni stentate, che ogni tanto rallegravano la certezza di un senso comune, o la scoperta di affinità insospettate.

 

 

 

Sfila davanti agli occhi della memoria una galleria di paesaggi estivi, di pomeriggi lenti di fantasticherie, di scatti impazienti del corpo a malapena trattenuti dalla pigrizia o dalla timidezza, di passi allegri, prorompenti e ignari, di valigie fatte e disfatte con entusiasmo, di abbracci veloci - perché di là c’è qualcuno che aspetta - .

Duole il ricordo della spensieratezza, che però si ferma al giorno del rapimento: voci nervose e spezzate, passi veloci nella polvere, un senso di irrimediabile soffocamento, l’incapacità di dominarmi e di dominare alcunché, la sensazione spiazzante di essere solo una bambola di pezza incapace di pensare, di chiedere, di fidarsi. E, come unica difesa, il rifiuto viscerale verso tutto quello che accadeva: gli strattoni, il buio in testa, gli occhi al buio, la paura e il  battito all'impazzata del cuore, il contatto con la terra dura.

 

 

 

 In seguito era avvenuta la scomparsa del sole, prolungata, senza rimedio.

L’oscurità muta e ininterrotta delle fughe, dei nascondigli, della vita quotidiana divenuta un unico confuso silenzio in penombra. La presenza assidua dei lenti guardiani, fissi a pochi metri da me, che sussultavano ai miei sussulti, che bisbigliavano tra loro e mi ignoravano. E a poco a poco il luogo dove mi trovavo, l’Africa e il Kenia, a lungo sognati e desiderati, hanno cominciato a stringermi in un abbraccio soffocante, sono diventati la mia unica consistenza. Ho cominciato a sentire di essere tutt'uno con la terra che mi circondava, che ci nascondeva, tutti .

Quando avevo detto loro: “Mamma, papà, me ne vado in Africa”, inseguivo il sole. La passione di andare verso gli altri e l´idea seducente di partecipare a un grande progetto mi mostravano una strada chiara ed aperta.

 

 

 

L'unico rischio, lo so bene adesso, era quello di essere accecati da tanta luce, da tanta evidenza di una prospettiva limpida e facile, ma bruciante, nella sua nobile bellezza. Perché bisogna ricordare che siamo noi a scegliere il sole, e non viceversa.

 

 

 

I guardiani sono alti, giovani e vestono tute mimetiche di tipo militare. Solo alcuni indossano lunghe tuniche di un colore indefinito. Hanno la testa ed il viso coperti, tranne gli occhi, per ripararsi dalla polvere finissima che il vento instancabile fa arrivare dappertutto. Quando si muovono, sembrano scivolare silenziosi e si mantengono a distanza, anche tra loro. Trascorrono notti e giornate seduti contro il muro, scambiandosi appena qualche parola a bassa voce. Pregano spesso. Li vedo a volte seguire con lo sguardo la luce esterna che, con il trascorrere delle ore, gira attorno alla casa dove ci troviamo e dove io occupo sempre una stanza molto piccola, nella parte più interna. Mangio e dormo sulla terra battuta, coperta da teli o tappeti colorati, su giacigli preparati da donne invisibili.  All'inizio, tutto mi ispirava repulsione finché, un po' alla volta, dopo settimane e mesi, ho cominciato a rasserenarmi, direi quasi ad ambientarmi. Dormo, leggo, scrivo, prego. Quando bevo, l´acqua prende uno strano sapore  a contatto con le mie mucose secche e le mie labbra riarse.

 

 

 

A volte ho l´impressione che il sole sia sparito dietro i muri, tutti uguali, dei rifugi dai quali ci spostiamo continuamente, i guardiani ed io, in obbedienza ad ordini invisibili, per andare verso un nuovo nascondiglio. In ognuna di queste costruzioni precarie, che sembrano vecchissime, le prese d´aria sono finestrini alti, affacciati su cortili o strade strette, da cui entrano voci indistinte, rumori spesso irriconoscibili, passi, qualche motore, e poi di nuovo voci. Non si vede mai il cielo, il sole sembra lontanissimo, eclissato o addirittura spento. Eppure confido ancora in lui, l´astro vigile osservatore dei miei carcerieri e testimone di quanto accade a tutti noi.

La scelta del sole come guida e protezione, pensando che non mi avrebbe mai abbandonato, è stata da parte mia forse un’ingenuità. Quando ha altro da fare, o quando per lui siamo di troppo, la sua volontà impassibile ci affida ad uomini  che ci trattano come monete di scambio per i loro giochi sconosciuti. A meno che non arrivino altri poveri e piccoli esseri come me a cercare di salvarmi, a impietosirsi di me e forse a condividere la mia pena ed il mio destino incompiuto, non ho speranza.

 

 

 

Spesso immagino il buio assoluto e l’anonimato che mi attendono, ed ascolto il suono del pianto sconsolato di chi mi cercherà  invano. Del sole, a poco a poco, scomparirá anche il ricordo. Nel frattempo, in questo presente sospeso, la terra mi trattiene e il sole mi ignora, del tutto estranei alle leggi ed alla logica degli uomini. La loro indifferenza ci lascia soli con i nostri istinti, a fare i conti con l’ odio e la frustrazione, con il dolore vero, che non può essere gridato.

 

 

 

Stamattina ho aperto gli occhi circondata dal solito silenzio polveroso. Davanti al mio sguardo offuscato si è a poco a poco delineata la sagoma di una bambina accovacciata a un paio di metri di fronte, che pareva osservarmi. Sulle prime, ho pensato ad una delle presenze che spesso mi si affacciano alla mente alla fine del sonno pesante, privo di sogni, sul far del giorno. Man mano che la vista e la mente si snebbiavano, i lineamenti della bambina diventavano sempre più netti e la sua immobilità era messa in risalto dal ronzío delle mosche. Grandi occhi scuri, capelli arruffati, labbra screpolate, mani intrecciate, da vecchina. Ho guardato i suoi piedi sporchi di terra rossa ed ho richiuso gli occhi. Li ho riaperti ed era ancora lì. Mi sono alzata lentamente e sono rimasta a sedere sul giaciglio, in attesa di sentire i rumori dei guardiani nella stanza affianco, che una tenda sporca divide dalla mia. Nulla.

 

 

 

La bambina ad un tratto è scivolata fuori, a gran velocità. Ho provato l’istinto di seguirla e, una volta scostata la tenda, un chiarore inatteso mi ha abbagliato. Sul pavimento di terra battuta, una lunga striscia di luce finiva nel bianco assoluto dell´esterno: la strada, o un cortile. Sentii la bambina che gridava, fuori, chiamando forse qualcuno, o i suoi compagni di gioco. Malgrado il contrasto abbagliante, capii che nella zona d´ombra, senza finestre e di dimensioni difficili da calcolare, non c´era più nessuno. I guardiani avevano lasciato l´ingresso aperto. Non capivo bene che genere di porta potesse chiudere quell'apertura rozza e scalcinata, dalla forma irregolare come tutta la costruzione in cui ci trovavamo. La stanza era vuota. Se ne erano andati. Mi girava la testa e il riverbero mi sembrava inaffrontabile. Ho fatto pochi passi verso la soglia e sono riuscita a distinguere un portone grossolano di legno vecchio e pesante, spalancato ed appoggiato al muro. Al suo fianco, una trave, ed a terra, dei chiavistelli, semplicemente appoggiati. Se ne erano andati. I miei piedi pallidi si sono fatti coraggio e si sono avviati lungo la scia luminosa.