PESCI

PESCI

 

 

Acquarello di Norah Borges

 

di Luciana Zollo

 

Te has traicionado tanto que ya no sabes quién eres. Lo que fuiste está perdido y lo que eres no lo reconoces.

(Horacio Castellanos Moya)

 

Sul fondo color panna della blusa di seta erano stampati dei grandi pesci, delineati con precisione in colori che andavano dal giallo e l´arancione fino a una serie di sfumature di verde, di cui la piú scura approdava ad un iperrealistico grigio ferro. Serena non indossava spesso quell´indumento vistoso, che peró amava particolarmente, regalo di un´amica che era stata quasi una seconda madre per lei in un periodo in cui aveva particolarmente sentito il bisogno della prima.  La blusa era dunque una specie di amuleto che ogni tanto, come in quella serata afosa di luglio, l’ultima che trascorrevano sull´isola, era una buona occasione per usare.

 

 

Disegno di Norah Borges

 

Era una donna alta, un po’ in carne, di una bellezza stanca. Aveva occhi, carnagione e capelli chiari, che quel pomeriggio avevano attirato l´attenzione di una giovane commessa, in un negozietto di profumeria del centro. Dopo averla osservata attentamente, la ragazza le aveva caldamente raccomandato l´uso dei prodotti a base di bava di lumaca, ultimo ritrovato della biocosmesi locale. Quel consiglio entusiasta le aveva rubato un sorriso, seguito dal pensiero che ci sarebbe voluto ben altro per far riprendere tono e colorito alla sua pelle. Il suo viso dai tratti regolari aveva un´espressione attenta, quasi stupita, pronta a lanciare frecciate con lo sguardo verso ciò che la inquietava. Ed erano molte le cose che la inquietavano. Due pieghe ai lati della bocca erano il segno di un disagio soffuso, contrastato ogni tanto, solo in apparenza, da slanci improvvisi di un entusiasmo innaturale, forzato, quasi infantile.

In passato, Serena aveva saputo imporre alla sua vita varie svolte coraggiose: cambiamenti di studi, di fidanzati e di marito, di professione. In una serie di periodici sobbalzi, le sue attività avevano spaziato dalla danza alla sociologia e dalla vita di moglie a carico del marito a quella di sostegno obbligato dell´amministrazione fallimentare di John durante gli anni della sua avventura imprenditoriale. Ma la vera metamorfosi era stata quella di diventare, sulla soglia della settantina, insegnante di lingua al centro universitario, dove le erano stati affidati vari corsi, di cui si dichiarava molto soddisfatta. Così, dopo decenni di vita familiare e professionale trascorsa all´estero, a parlare, pensare, lavorare in inglese, era ritornata alla sua lingua, l’italiano. Presa dalla rassicurante routine dell´insegnamento, aveva finalmente concluso una ricerca, per alcuni aspetti inconsapevole, di realizzazione. Se ne rallegrava, anche se le restavano, unica traccia di quell´antica insoddisfazione che sembrava essere nata con lei, quelle due pieghe profonde ai lati della bocca.  

Le vacanze con suo marito John erano un rito di ritorno all’Italia, ai suoi sapori, al suo mare.  Al Mediterraneo. Non ce n’era un altro.

Quella era la sera che precedeva la partenza dall’isola, il giorno dopo, a conclusione di una vacanza senza imprevisti. In seguito alle vivaci raccomandazioni ed istruzioni minuziose dei negozianti del borgo per raggiungere la trattoria sul mare, avvistarono nella penombra una vecchia costruzione dipinta di azzurro con una veranda e un ballatoio dalle rifiniture in legno sotto un’insegna mal illuminata. All’interno, una sala soffocante, affollata. Il caldo umido avvolgeva i tavoli con le tovaglie celesti, le sedie impagliate e i fanalini dalla luce smorta, rendendo il locale simile a un acquario. Un cameriere anziano, magro e un po’ curvo, dal volto incavato, li fece accomodare a un piccolo tavolo all’aperto, all’estremità del portico, quasi sospeso sull’oscurità dell´acqua sottostante. Certo che, se avesse loro proposto un tavolo all´interno, se ne sarabbero andati. Tuttavia, malgrado la sistemazione all´esterno, non soffiava la minima brezza e la salsedine e il calore invadevano ogni spazio. Tutto, dai corpi agli oggetti, era invaso da un magnetismo opprimente. L’ordinazione fu semplice, suggerita dalla vista delle grandi spigole esposte sul vassoio, lucide ed oscure. Dopo una ventina di minuti, il piatto profumato di mare, olio e limone fu orgogliosamente servito dal cameriere allampanato, in una piccola cerimonia di offerta propiziatoria.

La frutta fresca e il caffé forte non riuscirono ad esorcizzare il torpore del dopo cena, animato però dal sopraggiungere del propietario del ristorante, un uomo loquace, incuriosito dalla presenza degli stranieri e desideroso di far conoscere la sua storia, o meglio quella di suo padre, un giovane pescatore che nel dopoguerra aveva vissuto la strabiliante avventura di fare da controfigura a Burt Lancaster, protagonista del film “Il corsaro dell´Isola Verde”. Il ricordo dell´esperienza, non propria ma paterna, dunque ancor piú leggendaria e affascinante, entusiasmava il discorso ed i gesti dell´uomo, che trovò in John, abile conversatore, una buona voce in contrappunto. Serena ascoltava gli uomini e stentava ad entrare nella danza delle loro parole. Cosa si aspettavano da lei? Ammirazione per la vicenda del bellissimo ragazzo isolano, abbagliato dall´avventura cinematografica holliwoodiana negli anni ´50? Deferenza verso il ristoratore, che a decenni di distanza rendeva onore alle doti paterne? Apprezzamento per il ristorante, la sua cucina e il suo servizio, di certo all´altezza della fama dell´Isola Verde? In veritá, non provava alcuna curiositá per il Corsaro, Burt Lancaster, sbarcato su una piccola isola del Mediterraneo a conquistare tutto e tutti con la sua presenza da semidio. Sentiva invece una stanchezza e un languore che la invadevano, mentre si faceva strada in lei uno strano guizzo di sensualità, simile alla commossa attrazione provata per la prima volta, tanti anni prima, per suo marito. Un´attrazione mai sopita nel tempo per quell´uomo sincero che era John, capace di tuffarsi nella vita senza porsi tante domande. Per lui Serena aveva lasciato isole, pescatori e conquistatori del suo mare e della sua terra, scegliendo di vivere altrove e di provare un amore senza ricette, senza tradizione, senza modelli familiari, né, a dire il vero, letterari. La certezza di quell´amore, mantenutosi intatto nel profondo del suo essere, cominciò a cullarla, facendola un poco astrarre dalla realtà, con il pensiero e con i sensi.

Un po’ stordita dall´emozione di risentirsi e riconoscersi viva e sensibile, restò in silenzio, finché, un po’ ripresa, decise di patecipare alla conversazione degli uomini, mai interrotta, con una semplice domanda: «Perché il ristorante si chiama così?»  “Così, come?” Si chiedeva in realtà. Sull’insegna scolorita e sul menù sfilava una breve frase senza senso, quasi uno scioglilingua, del genere “Il pirata sparito”, o forse “Rapita dal pirata”. Il caldo, l’effetto del vino bianco con cui aveva accompagnato il piatto di pesce fresco, squisito, e la penombra della veranda, uniti alla mancanza di occhiali, le impedivano di leggere chiaramente. La sua domanda fece profondere il ristoratore in una lunga e complicata spiegazione, accompagnata da gesti e sorrisi amiccanti che alludevano alla fusione tra le lingue, l’italiano, il dialetto e l’americano, di Burt e del regista, naturalmente, insomma ad una sostanziale confusione per cui il nome del ristorante era un gioco, una specie di indovinello senza senso, una formula ermetica che custodiva il segreto di quell’esperienza fortunata, di quell’incontro irripetibile. Di un mistero felice, insomma, dal quale Serena si sentì stranamente contagiata, pervasa, senza bisogno di dover chiedere altre spiegazioni. John, nel frattempo, si era francamente divertito ad ascoltare quelle gioiose fantasie e dichiarava, per puro gioco, di voler saperne di più, formulando domande ispirate dalla simpatia per il passato, la gioventù di quei pescatori inconsapevoli, quei tempi difficili, forse anche di stenti, ma certo di facili allegrie, carichi comunque di una vitalità senza limiti. La forza, appunto, del Corsaro sull´Isola Verde. Creazione di un regista americano con la sua troupe su un’isola del Sud Italia, dove abitavano persone semplici, in grado di vivere un’avventura eccezionale, fuori dal tempo. Una vitalità molto simile alla sua.

Sotto le tavole della palafitta, tra i pali che la sostenevano, una piccola onda improvvisa provocò un moderato, seducente sciabordio. Sufficiente a confondersi con il movimento imprevisto e flessuoso della pinna caudale di un azzurro argentato, che aveva riposato ai piedi del tavolo per tutta la duranta della cena. Controllandone con i fianchi il movimento, riuscì a girarsi e, poi, a scivolare in silenzio, attraverso la parte inferiore della balaustra, fino a sentire la carezza dell’acqua scura sulla pelle, mentre si gonfiava la seta della blusa per lasciar passare all’interno quella che sembrava la crescita della marea o comunque uno spostamento d’acqua più impetuoso. Quando anche la testa fu immersa sentì la nuvola dei capelli in movimento che la cullava dolcemente. Allontanandosi, guardò verso l’alto la luce fioca del ristorante distanziarsi dalla superficie, mentre si spegnevano dolcemente le voci di coloro che non avevano ancora notato la sua assenza. Provò allora l’energico impulso di guizzare veloce, in preda ad un’ignota leggerezza, verso il destino sorprendente che l’attendeva… Le vibrazioni dell’acqua circostante le arrivavano immediate al cervello e al cuore, invadendo il suo corpo felice, mentre le branchie nuove di zecca estrapolavano l’ossigeno dall'acqua ed annunciavano la conferma di un’essenza impalpabile e trionfante, finalmente compiuta.