LA NEVROSI DEL POTERE

 

LA NEVROSI DEL POTERE

 

 

Gian Maria Volonté e Florinda Bolkan in una scena del

film: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

 

 

di Ivan Battista

 

In ambito psicologico per nevrosi s’intende una sofferenza psichica del soggetto che origina, di consueto, da un conflitto inconscio e dà come risultato un comportamento non equilibrato nei confronti dell’ambiente e del socius. Le manifestazioni maggiori di tale afflizione consistono, dunque, in problematicità di relazione con situazioni, gruppi sociali o singole persone. Il suo minimo comun denominatore è l’ansia.

Fu lo straordinario, insigne medico e chimico scozzese William Cullen a coniare, nel 1769, il termine nevrosi riferendosi a disordini psichici procurati da una complessiva alterazione del sistema nervoso. Modificazione in grado di provocare, a diversi ordini e gradi, malessere alla persona.

 

 

Il medico scozzese William Cullen

 

Gli orientamenti psicoanalitici del secolo scorso inquadrano la nevrosi come patologia a eziologia prettamente psichica. Secondo la psicoanalisi freudiana, ad esempio, la nevrosi è una patogenesi di tipo psicologico, che scaturisce da una rimozione o repressione di istinti, pulsioni e desideri propriamente di tipo erotico-sessuale. Il contenuto di tale patogenesi non si manifesta coscientemente perché è prodotto da un conflitto inconscio tra Super-Io ed Es (Freud, S., 1922). La psicologia analitica di Carl Gustav Jung, pur non scartando l’ipotesi dell’ambito erotico quale luogo generativo della nevrosi, la definisce semplicemente come tentativo mancato di soluzione personale di un problema comune e la individua quale esito ultimo di un incontro conflittuale tra le pulsioni appartenenti all’individuo e il background culturale e l’epoca in cui vive (Jung, C.G. 1917-1943).

 

 

Sigmund Freud

 

Carl Gustav Jung

 

La risoluzione della nevrosi è, in ogni caso, utile per chi ne è afflitto, pena: il possibile svilupparsi nel tempo e nella coscienza di affezioni psichiche del comportamento più gravi. È utile evidenziare che attraverso l’espletamento del suo “rituale” il nevrotico riesce a mantenere un accettabile, seppur discutibile, contatto con la realtà. Quindi, ad una generica analisi psicologica, il nevrotico non è da ritenersi una persona fuori dal mondo. Egli è una persona sostanzialmente in “passabili condizioni” nonostante il suo stato psicologico debitorio. I sintomi del suo malessere psichico, però, possono procurargli complicazioni serie. È opportuno ribadire che se questi non saranno compresi nelle loro etiologie il più delle volte “profonde”, se non saranno curati e “guariti” per tempo, potranno condurre a sofferenze gravi, non più sanabili, per se stesso e per la comunità di riferimento. Seguendo l’interpretazione freudiana per cui ogni nevrosi è il risultato di una rimozione e/o repressione d’istinti, pulsioni o desideri d’ordine sessuale, sovente rintracciamo nella personalità di potere disordini relativi alla sfera erotica. Orbene, la nevrosi, secondo Freud, compromette il regolare sviluppo delle relazioni in ambito affettivo-sessuale.

   Infatti, puntualmente, riscontriamo nella storia molti personaggi di potere, o ad esso attigui, che con l’attività sessuale hanno avuto un atteggiamento di tipo “bulimico” (Valeria Messalina, Napoleone, Stalin, etc.). In certi specifici casi alcune autorità hanno avuto un rapporto col sesso addirittura di tipo “istituzionalmente casto”. A questi “potenti”, l’esclusione coatta dal praticare l’eros (quanto meno come notizia da far credere in ambito pubblico) ha dispensato supremazia e prestigio (papi, cardinali ed eunuchi). Considerati più affidabili e devoti poiché, per condizione, non legati a “complotti da successione”, alcuni eunuchi (letteralmente dal greco antico εủνή: letto e εχώ: custodisco, cioè: guardiano del talamo) raggiunsero posti di potere davvero importanti. Una delle tinte più fosche nella nevrosi del potere, invero, è quella persecutorio/paranoide che, non di raro, ha raggiunto livelli addirittura psicotici. D’altronde le ragioni per essere quanto meno sospettosi, in alcuni casi, c’erano tutte.

 

 

Valeria Messalina con il figlio Britannico

 

Ad esempio, tornando a Valeria Messalina, Britannico, il figlio avuto dall’imperatore Claudio, sembra sia stato avvelenato da Nerone per poter giungere alla carica d’imperatore lasciata vuota dalla morte di Claudio stesso, anch’egli ucciso da Agrippina minore, sua quarta moglie e madre di Nerone, successa a Valeria Messalina.

 

 

Narciso alla fonte (Michelangelo Merisi)

 

Gli aspetti nevrotici legati alla gestione del potere sono molteplici e articolati. Il narcisismo patologico è uno di questi. Molti potenti sono narcisisti. È bene ricordare come il narcisista non sia una persona che ha di sé un buon concetto; possiamo affermare, anzi, che non si stima affatto, tanto da dover “manipolare” il suo prossimo per farlo stare alle sue esigenze che sono sempre esigenze di approvazione. Il narcisista ha bisogno di un pubblico plaudente per acquietare la sua enorme fame di amore e di attenzione. La lettura psicoanalitica c’insegna che il narcisista non ha ricevuto in età primaria, per qualsivoglia motivo, l’investimento libidico di cui, come qualsiasi bambino, avrebbe avuto bisogno. Chi investe il bambino con la sua libido (da intendersi qui soprattutto quale energia psichica d’attenzione e d’amore) è in genere la madre (ma potrebbe essere anche un altro caregiver). La carenza può essere dovuta ad un’assenza reale e concreta del caregiver oppure ad una mancanza di tipo psicologico non evidente (la cosiddetta carenza larvata): il caregiver c’è, ma è piuttosto assente psicologicamente. In ogni caso, questo vuoto affettivo è determinante per la costituzione psichica basilare del bambino. Non avendone, del tutto o a sufficienza (questa modulazione crea il grado di narcisismo), il bambino cambia direzione alla sua libido, che dovrebbe essere apposta sull’oggetto d’amore/madre, e la dirige su sé stesso in senso salvifico e rendendola intransitiva. Il narcisista di questo tipo sviluppa un “Sé grandioso”, sovente integrato e anche strutturato, ma essenzialmente patologico. Alla luce di questa lettura si chiarisce perché questo tipo di personalità, sostanzialmente sofferente, abbia un “buon funzionamento” nell’organizzare la realtà oggettiva, sebbene faccia ricorso a meccanismi ego difensivi primitivi come la scissione, l’identificazione proiettiva, l’onnipotenza e la negazione (Kernberg, O., 1978).

 

 

Bambino trascurato in amore

 

Si capisce con facilità quanto questo imprinting primario affettivo costituisca la caratteristica più rintracciabile del narcisista: la sua incapacità di amare un altro da sé. Il narcisista, pur volendo cognitivamente, non riesce ad amare un’altra persona (definita “oggetto” in termini di psicologia delle relazioni oggettuali) e “ama” solo se stesso perché così ha imparato a fare fin dalla più tenera età. Paradossalmente ne soffre molto e crede che il vuoto d’amore che prova (di frequente chi lo conosce lo abbandona dopo aver provato il freddo e la pericolosità della sua incapacità affettiva) sia dovuto alla sua scarsa qualità di essere. Quindi, il narcisista è un individuo che si sottostima e, per fugare questa sua squalificata percezione di sé, attua una “volontà di potenza” attraverso la manipolazione del prossimo col quale intreccia una relazione, paradossalmente, “passionale”. È di una passionalità “specchio” che si tratta, però; perché tramite l’esaltazione emotiva dell’altro, il narcisista nutre la sua voragine affettiva senza fondo ed è qui che si nasconde il pericolo. Per ottenere quello che egli ritiene giusto, il narcisista è disposto a tutto, finanche al sacrificio della vita di chi lo ostacola, foss’anche una persona a lui devota o che lui “ama”. Sarà proprio questo suo modo di essere e di comportarsi che lo condurrà alla sua “fine”. Il fallimento, di frequente, è il destino di ogni relazione narcisistica, da quella di coppia a quella del dittatore col suo popolo.

 

 

Il dittatore libico Muammar Gheddafi

 

I tre pilastri sui quali si fondano le principali “dimensioni” di qualsiasi società di ogni tempo e luogo sono il potere, il denaro e il lavoro, quest’ultimo inteso anche e soprattutto come status sociale. Insieme costituiscono una triade inscindibile perché ognuno è legato agli altri due e, da solo, non può esistere. 

 

 

Il potere attira il denaro

 

Il potere, in particolare, si fonda sul consenso ottenuto o per demagogia o per costrizione autoritaria o per persuasione “fideistica” e propagandistica. Per raggiungere e mantenere il potere occorre denaro, consenso e status accettato dagli altri, conquistato o con la propria autorevolezza (nei casi più rari) o con la mistificazione (nella maggioranza dei casi) o con la forza e la violenza (nel peggiore dei casi).  

 

 

La piramide medievale dell’autorità

 

Il potere non è di per sé qualcosa di negativo, se usato bene può dare notevoli risultati di benessere ed è apprezzabile soprattutto se è espresso a favore della collettività e del suo bene comune. Io sostengo che non è il potere che corrompe l’Uomo, ma è l’Uomo che corrompe il potere. Si crede che la manifestazione prepotente e violenta del potere sia un’espressione di forza mentre di per sé è costituita, alla sua base, da una componente di fragilità estrema. La storia, magistra vitae tra Macchiavelli e Guicciardini, ci mostra come l’esercizio ottuso e cieco dell’autorità, uno dei volti più negativi del potere, spesso oscilla per poi crollare malamente. Nel suo disadattamento alla realtà, il sintomo nevrotico del potente che si crede un “semidio” è da tenersi in massima considerazione perché è il primo passo che conduce sulla strada della vera “follia”. È in questa manifestazione psicologica di estrema egoicità che possiamo rintracciare la sua più limitrofa vicinanza alla morte.

 

 

Kim Jong-un, dittatore della Nord Corea

 

        Prossimità carica di enormi chiaroscuri e macroscopiche contraddizioni, ovviamente, e non sempre di facile lettura, soprattutto per chi è completamente immerso nella sfera d’influenza psichica del potente. Chi prova l’impellente necessità di accaparrarsi il potere, in qualsiasi ambito e in qualsiasi modo, in genere è una persona che, nella sua profondità psichica, non ha di sé una buona stima. Solo chi si percepisce inferiore nell'intimo prova l’urgente necessità di ribaltare questo suo status psicologico nell’esatto contrario, attraverso una “manifestazione di grandezza” con relative sue celebrazioni a supporto.

       L’ego ipertrofico, abbiamo compreso, è un tratto psicologico della personalità che tende al potere per farne un uso del tutto personale o, comunque, di gestirlo secondo le proprie convinzioni e i propri riferimenti tenendo in scarsa, se non nulla, considerazione le visioni e le considerazioni altrui, pronto ad annullarle, al bisogno, anche con la forza e la brutalità.

 

 

Il dittatore cileno Augusto Pinochet

 

        Credo sia chiaro chi possiede questa impellente necessità: una personalità frustrata nelle sue ambizioni migliori più vere e sentite perché non è stata in grado di realizzarle o di esprimerle a dovere. La frustrazione, dunque, costituisce un elemento fondamentale della nevrosi del potere. Il potente è un frustrato rispetto alle sue aspirazioni e, in genere, non è un creativo, anzi, al contrario, manifesta spesso una dimensione mortifera e distruttiva in pieno accordo con la non risoluzione del suo stato nevrotico.

       Questa condizione è dovuta alla non soddisfazione delle pulsioni profonde e al non raggiungimento degli obbiettivi più importanti. Il dittatore, ad esempio, è un uomo di potere che vede spesso lo “status” per cui ha tanto lottato rivoltarsi contro di lui, perfino oltre la sua stessa volontà. Chi detiene il potere in modo dispotico è di regola “condannato” ad una dimensione di solitudine ed è disposto a commettere “delitti” pur di ottenerlo o di non cederlo, diventando così “vittima” di se stesso. Nella nostra attualità abbiamo vari esponenti di spicco, soprattutto politici, che venerano il culto della personalità quale vagheggiato rimedio alla loro nevrosi del potere.

 

 

Il presidente degli U.S.A. Donald Trump

 

Le persone di potere più inneggiano a se stesse e più il loro stato psichico rivela una falla che li espone a possibili reazioni dolorose da parte di chi non tollera il loro narcisismo autoritario. Possiamo dire che, per chi è affetto da nevrosi del potere, il pericolo aumenta all’aumentare dell’espansione dell’Io. Saper gestire il potere in modo proficuo e benefico, per la maggior parte di chi gli è sottoposto, richiede tanta abilità nonché una personalità e uno stato psichico molto equilibrati.

 

 

L’imperatore romano Caligola

 

       Da Caligola a Hitler, da Giulio Cesare a Ceaucescu, nella storia i casi dei dittatori che hanno decretato la loro fine, perseguendo nevroticamente la loro egemonia con le loro scelte e i loro tempi sbagliati, sono numerosi. Nella letteratura mondiale abbondano gli esempi di romanzi o tragedie datate che sanno ancora interpretare e spiegare il nostro presente.

 

 

Il drammaturgo William Shakespeare

 

       Da William Shakespeare (Macbeth, Enrico IV) a Vittorio Alfieri (Bruto secondo, Della tirannide), da Ugo Foscolo (Ultime lettere di Jacopo Ortis) ad Albert Camus (Caligola) passando per Giacomo Leopardi (Bruto minore e Operette morali) è l’arte della migliore scrittura narrativa ad accendere il lume in grado di rischiarare i nostri giorni dallo sconsolante racconto di un’attualità del potere nevrotico, incapace di recuperare e prospettare visioni condivisibili e unificatrici.

 

 

Il poeta Giacomo Leopardi

 

       Come sostiene Lucio Anneo Seneca nel suo Lettere a Lucilio, è ai grandi autori che dobbiamo rivolgere la nostra voglia di formazione e cultura. Saranno loro a fornirci la bussola per orientarci nella vita e, in special modo, nel complesso dibattito sull'autorità del governo e del suo “sano” e “corretto” esercizio di potere. Costoro comporranno l’indicatore di direzione che ci guiderà in un luogo leggermente più in alto della meschina posizione dove si esercita il potere nevrotico. Un punto da cui le cose si distinguano meglio e anche quelle che sembrano più limitate, infelici e squallide possano trovare la loro giusta collocazione e la loro esatta rappresentanza sulla fugace ribalta cui diamo il nome di esistenza.

 

 

Il filosofo stoico Lucio Anneo Seneca

 

La leggenda ci riporta che Cincinnato dopo aver assolto ai suoi doveri istituzionali verso la repubblica, tornò senza problemi di sorta a svolgere di nuovo le attività agricole precedenti al suo incarico politico. Sicuramente, la realtà sarà stata molto più complessa e meno edificante.

 

 

Il console romano Cincinnato

 

Però, il fascino di chi riesce a mantenere un distacco “fattivo” dal potere, senza lasciarsi coinvolgere nel misfatto e nel compromesso più squallidi, esercita un vero “potere” sulle aspettative dei followers più idealisti.  È per questo che molte persone che vogliono raggiungere uno stato di comando imparano a dovere la lezione di propaganda e comunicano, attraverso tutti i mezzi possibili, l’idea di un disinteresse personale a tutto vantaggio di un interesse comune.  L’ipocrisia è un’altra caratteristica della dimensione del potere e della sua condizione più falsa. Il nevrotico, in generale, vive una sua entità “commediante”, poiché peculiarità principale della nevrosi è proprio quella di costringere ad una “recita” e non permettere all’individuo di diventare fino in fondo se stesso. Carl Gustav Jung indica nella non risoluzione della propria nevrosi il maggiore ostacolo alla realizzazione della propria individuazione. L’essere umano è spontaneamente incline ad affrancarsi dai valori comuni per realizzare una sua unica e irripetibile individualità. Tale pulsione alla realizzazione della personalità individuale è un processo definito da Jung principium individuationis. Tra condizionamenti interni ed esterni, la strada preferibile che conduce al raggiungimento di un certo margine di libero arbitrio è quella della presa di coscienza delle proprie dinamiche più profonde e inconsce.

 

 

Carl Gustav Jung, Principium individuationis

 

Ora, la migliore individuazione (da non confondere col termine di individualismo che è tutt’altra cosa) è quella che avviene a seguito dell’integrazione delle parti psichiche separate. Un passo di consapevolezza e chiara visione della propria “frammentata” situazione psichica che conduce ad un quadro unitario e totale. Ciò dovrebbe stabilire un indubbio progresso ai fini dell’instaurazione nella mente del soggetto di un equilibrio “dinamico” del tutto positivo. Dynamis (δύναμις) è il termine con il quale gli antichi Greci indicavano il movimento. La prerogativa principale della psiche, in realtà, non è la staticità, ma il movimento.  Guai se non fosse così: la rigidità, sia fisica che psichica, è morte. La mente si modifica a seguito dei cambiamenti della vita. A 60 anni non saremo mai ciò che siamo stati psicologicamente a 20 anni. È per questa ragione che è stata coniata la definizione di psicologia dinamica, molto più esaustiva dei termini psicoanalisi o psicologia analitica.

 

 

Mente e movimento

 

La nevrosi del potere agisce profondamente sul comportamento di chi lo cerca, con conseguenze negative, a volte catastrofiche, sia per se stessi sia per gli altri. L’ebrezza che dà il potere può rendere anche dipendenti da esso. Il cervello di chi adopera il potere, con qualsiasi stile di comando, entra in uno stato smanioso di riuscire a esercitarlo, tanto da far perdere spesso la cognizione della realtà e il buon senso comune. La nevrosi del potere è una sofferenza che può evolvere, nei casi più gravi, e divenire psicosi con tanto di allucinazioni e idee deliranti compromettenti l’equilibrio mentale. Sappiamo che la psicosi si caratterizza per una condizione psicologica alquanto distante dalla realtà oggettiva e finisce spesso per trasportare l’individuo in un’esaltazione molto pericolosa e del tutto sconsigliabile. Quindi, la sindrome nevrotica del potere si caratterizza per impulsività, minor consapevolezza dei rischi, e minore capacità di valutare i fatti guardandoli dal punto di vista degli altri. La scarsità, se non addirittura, l’assenza di empatia è un altro tratto della nevrosi del potere. Il potente è poco percettivo e poco incline a concedere importanza alle idee e ai punti di vista degli altri. Il rinforzo maggiore alla nevrosi del potere è dato dai cosiddetti “sudditi”. Per ottenere un minimo d’attenzioni a fini carrieristici o la certezza di non subire “rappresaglie”, tali persone sono molto remissive e tendono ad assentire ai diktat del capo.  Oggi li chiameremmo “yes men”.

 

 

The yes men

 

Il loro comportamento accondiscendente svolge una funzione determinante nei confronti dell’evoluzione negativa della nevrosi del potere. Il rispecchiare il capo nelle sue modalità di applicazione del potere non solo non aiuta il boss a non mantenere un sano contatto con la realtà, ma pone le basi affinché questa realtà “incompresa” ad un certo punto gli si rivolti contro, proprio perché non capita e valutata a dovere. A suo tempo, Gian Lorenzo Bernini, che non nacque come architetto, ma come scultore, ebbe da affrontare un tracollo professionale a causa del suo modo accentratore e autoritario di condurre le relazioni con i suoi collaboratori. Nel progettare e costruire i due campanili-orologio ai lati della basilica di san Pietro, non essendo ancora troppo competente, si fidò di ciò che gli risposero i suoi architetti alla domanda se le fondamenta dei campanili avrebbero retto in quel terreno piuttosto molle ed umido in profondità (la valle dove è stata costruita la basilica di san Pietro è di natura depressionaria e imbrifera). I poveri architetti, tiranneggiati dal Bernini, probabilmente in soggezione, risposero positivamente: le fondamenta avrebbero tenuto. Invece, per primo il campanile di sinistra cominciò ad allontanarsi dalla basilica, rischiando di “tirarsela appresso”. A seguito di questo evento il campanile di destra fu interrotto quasi alla sua metà. Gian Lorenzo Bernini dovette assorbire un duro colpo sia alla sua carriera sia al suo “narcisismo”. Gli esperti chiamati in causa dal papa (tra cui c’era l’ormai suo acerrimo rivale Francesco Borromini) dissero che la situazione non era recuperabile. I campanili, a seguito della decisione dei validi e “indipendenti” consulenti della commissione nominata dal papa, furono smantellati. Bernini si rinchiuse per anni nella sua abitazione in uno stato depressivo che oggi definiremmo di tipo reattivo, con grave danno per le sue economie e per le vite e le economie dei suoi collaboratori “yes men”, mandandoli completamente in rovina (Morrissey, J., 2005).

 

 

Lo scultore barocco Gian Lorenzo Bernini

 

Il ruolo del potente dallo stile autoritario, e troppo incentrato sull’Io, è un ruolo scomodo e pericoloso da ricoprire. Lo stile di questa leadership è caratterizzata da velocità di decisione, anche in scarsità di tempo per riflettere e insufficienza di elementi valutativi; da assertività sebbene a volte non ci sia proprio un bel nulla da asserire e sarebbe richiesta un’attenzione maggiore alle “mezze tinte”. Inoltre, l’espressione di tale maniera di gestire il potere rasenta sovente l’arroganza, centrando in pieno la maleducazione. La violenza nei confronti della dignità altrui, caratteristica anche questa tipica del potente autoritario, non tarda mai molto a rivoltarsi contro di lui.

        Le personalità in preda alla nevrosi del potere decidono senza pensare troppo bene, poiché cariche d’ansia, che, come abbiamo visto, è un minimo comune denominatore di tutte le nevrosi. Procedono senza comprendere a fondo, quindi senza riuscire a vedere le cose per quello che in realtà sono e, soprattutto, senza confrontarsi. Tolgono ogni valenza positiva alle osservazioni o alle critiche costruttive che potrebbero essere di grande aiuto. Il nevrotico del potere, chiuso nel suo narcisismo, tira dritto verso il suo obbiettivo, anche se è fuori portata, buggerandosene di tutto e di tutti. Se ciò nel breve termine può funzionare, nel lungo termine presenterà un conto in genere piuttosto salato perché la capacità di interazione positiva e di comunicazione vera e congruente appartengono all’area del migliore pensiero strategico.

        «Il potere logora chi non ce l’ha» è una famosissima frase del politico francese Charles Maurice de Tayllerand-Périgord che, sembra, l’apprese dal suocero, duca Buren di Curlandia. Un’esclamazione gravida di supponenza.

 

 

Il politico francese Charles Maurice de Tayllerand-Périgord

 

Ancora una volta, la cultura greco antica, con la Poetica di Aristotele (334-330 a.C.), ci viene in soccorso con un termine chiarificatore: Hybris. Nella tragedia greca è adoperato come espressione che sta a definire un’azione empia e tracotante del passato che produce effetti negativi nel presente (un principio molto usato anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia, a proposito dei tiranni e dei dittatori cfr. Inferno Canto XII, vv. 100-139). Da tenere ben a mente che nella parola Hybris è sottintesa l’inevitabile punizione che giungerà dagli Uomini o dal divino e che decreterà la “caduta” di chi l’ha prodotta. Nella nevrosi del potere, il nevrotico fallisce a causa del suo narcisismo patologico che lo porta a compiere comportamenti e azioni cariche di Hybris a seguito del suo mix dannoso di freddezza emotiva, protervia e falsità (Kernberg, O., 1999). Il nevrotico da potere è un istrione e, sovente, un sociopatico oltre che narcisista patologico. Quindi, è determinante stabilire, soprattutto tra le persone che possono influenzare la vita di tutti, se una personalità giunta al potere è giunta perché portatore di un forte carisma dovuto alla sua competenza e alla sua personalità equilibrata o perché è un narcisista. La differenza è sostanziale e ne va del benessere e della sicurezza comuni. Il confine tra carisma e narcisismo è flebile e così sfumato che è facile prendere abbagli. La personalità carismatica è assertiva, sicura, pragmatica e affascinante mentre il narcisista è prepotente, manipolativo, cinico e ostinato. La cosa che rende ancora tutto più difficile è che per conquistare il potere è “vantaggioso” essere ostinati, prepotenti, cinici e manipolatori, almeno sul breve termine. La corsa alla presa del potere è spossante e richiede sovente crudeltà e disonestà.

 

 

Il dittatore iracheno Saddam Hussein

 

        Sui periodi di tempo più lunghi, però, al potente servirebbe una visione del mondo di più ampie vedute e bilanciata che non è appannaggio delle sue capacità. Il dittatore iracheno Saddam Hussein sembra non aver avuto a sua disposizione mentale proprio queste qualità. Chiusa nel suo “delirio onnipotente”, la personalità autoritaria ha una visione distorta della realtà tanto da non rendersi conto appieno delle situazioni che innesca con le sue decisioni (inevitabilmente errate) e delle reazioni ineluttabili a tali situazioni che chi le subisce metterà in atto. I potenti più preparati e intelligenti non a caso sono autorevoli e non autoritari e scelgono la via del consenso il più diffuso possibile. C’è una profonda differenza tra autorità e autorevolezza.

 

 

Differenza tra autorità e autorevolezza

 

       L’autorevolezza è data dal gradimento che si ottiene con la preparazione personale, la capacità di ascoltare, la capacità di comunicare e di interagire accettando la sfida a mettersi in gioco in prima persona. L’autorità, all'opposto, è figlia della violenza, dell’impreparazione, dell’ignoranza, dell’incapacità di confrontarsi con le critiche e della paura profonda data dalla percezione non del tutto consapevole della propria “pochezza” e inadeguatezza; tutte doti che riscontriamo con facilità nella personalità narcisistica. Donne e uomini autorevoli e privi di narcisismo patologico esistono. Li si può incontrare a capo di comunità, di partiti politici e di organizzazioni aziendali, ma non sono molti, purtroppo. In genere, sono persone preparate nelle loro competenze e mentalmente equilibrate, consapevoli che per giungere alla loro “legittima autoaffermazione” non occorre percorrere la via del sopruso. Tali personalità, risolte nella loro psicologia, da recenti ricerche di neuropsicologia sembra vivano meglio e più a lungo perché godono della felicità che giunge dal potersi sentire più vicini alla realizzazione della propria autenticità. L’autorevole, per mezzo della sua realizzata competenza, non cerca vantaggi solo per se stesso, ma vuole fermamente che tali vantaggi possano essere messi a disposizione del bene comune. È per questo che è considerato autorevole dalla sua comunità. Sa perfettamente come va gestito il potere per ottenere il bene della sua gente ed è fuori della nevrosi del potere proprio perché sa possederlo con razionalità e cognizione senza lasciarsi possedere da lui (Kernberg, O., 1999).

Una delle conseguenze più negative legate alla personalità potente e nevrotica è quella che, alla sua caduta, lascia uno strascico “ideologico” in grado di tramandare il suo “regime” d’intervento e condizionare, comunque e in varia misura, le vite delle generazioni a venire.

 

 

La ferita non chiusa del neonazismo

 

In conclusione, il potere si può gestire senza che esso imprigioni in una nevrosi tanto dolorosa quanto dannosa. La cosa importante è che colui o colei che si accinge a raggiungere il potere risolva prima la sua eventuale situazione psicologica sofferente, poi, una volta equilibrato/a, arrivi pure al potere con il consenso degli altri. È essenziale che la voglia di pervenire ad uno stato di dominanza sia dovuto non alla brama angosciata di potere per il potere, ma di potere per fare del bene, costante, pacifico e duraturo, alla propria comunità.  

 

Bibliografia

 

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1306-1321          La divina Commedia, Inferno canto XII, Edizioni Polaris, Faenza, 1990

 

 

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334-330 a.C.               Poetica, a cura di D. Pesce, G. Girgenti, Bompiani, Milano, 2000

 

 

Freud, S.

   1922               L’Io e l’Es, Opera Omnia Boringhieri, volume 9, Torino, 1986

 

 

Jake Morrissey  

   2005              Geni rivali. Bernini, Borromini e la creazione di Roma barocca, Laterza,

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1917-1943

                        La teoria dell’Eros, in La psicologia dell’inconscio,

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Kernberg, O.

  1978                       Sindromi marginali e narcisismo patologico, Bollati Boringhieri,

        Torino

 

Kernberg, O.

    1999                Le relazioni nei gruppi. Ideologia, conflitto e leadership, Raffaello

                         Cortina, Milano

 

Seneca, L.A.,

 62-65                         Lettere a Lucilio, Rizzoli, Milano, 1992