FRIDA KAHLO TRA SOGNI INFRANTI, PASSIONI DI VITA E DI MORTE

FRIDA KAHLO

TRA SOGNI INFRANTI, PASSIONI DI VITA E DI MORTE

 

 

 

 

Articolo e foto di Anabel Ciliberti

 

Ho avuto il grande piacere di visitare la mostra per il Centenario della nascita di Frida Kahlo (1907-1954), al MUDEC di Milano. Un’esposizione davvero coinvolgente, che mi ha sensorialmente trasporta in Messico, nella “Casa Azul” di Frida Kahlo e Diego Rivera.

Sono stata stravolta dalle emozioni attraverso un’ampia serie di quadri, disegni, fotografie, scritti e pagine del diario dell’artista. Vi ho trovato tanto dolore, ma anche tanta bellezza, perché l’arte ha il grande potere di trasformare la pena in estasi. 

 

Ho ammirato pure la serie di statuine che hanno ispirato Frida. Per me, quasi un ritorno alle origini. Il Messico non dista poi così tanto dalla mia terra nativa, la Repubblica Dominicana.

Il ritratto di una ragazzina, in particolare, mi ha ricordato le raffigurazioni degli Inca e dei Maya, popolazioni che ho studiato sui banchi delle scuole elementari.

 

 

 

La stanza che mi ha maggiormente colpito è stata quella de “Il dolore”: due aborti e il tragico incidente che travolse l’artista quando ancora era una studentessa. Fu arrotata da un tram e il trauma ebbe gravi conseguenze per il resto della sua vita. Dopo averla costretta a una lunghissima convalescenza, con un busto di gesso per unire le parti del corpo dilaniate, infierì anche negli anni della maturità, costringendola sempre più spesso a letto, in una crudele immobilità. Analoga sorte subì il suo cuore straziato dai distacchi e dai tradimenti dell’amato marito Diego, tra i quali quello particolarmente intollerabile con la propria sorella minore.

 

 

 

Il dolore procuratole dalla relazione trovò espressione in una tela incredibilmente cruenta, apparentemente legata all’episodio di cronaca in cui un uomo aveva accoltellato una donna. Essendo evidente che rappresentasse il vissuto di Frida, dopo essere venuta al corrente dell’accaduto.

 

 

Un amore intenso, tenace, quello con Rivera, ma tormentato, che richiama l’idea che ne aveva Shakespeare: il vero amore – per il Bardo – era  quello che anche se calpestato, mai cessa di esistere. La nostra sensibilità contemporanea, invece, ci dice che l’amore va rispettato e protetto con la massima cura. Più gli fai del male e più deperisce: non per il fatto che pensiamo sia amore, dunque lo dobbiamo stravolgere e privarlo di cure, altrimenti soccombe.

 

 

 

Frida e Diego, nonostante i loro reciproci tradimenti, sono rimasti fino alla fine insieme. Lui non l’ha abbandonata, probabilmente l’amava, e forse anche trattenuto dal senso di colpa per le sofferenze di lei, non le si è andato allontanato definitivamente. E per lei lui era tutto.

 

 

 

Eppure la Kahlo nutriva un amore ancora più grande, quello per l’Arte. Malgrado fosse costretta in un letto, si fece costruire un macchinario per continuare a dipingere!

Per poter sopportare il dolore, per rimanere in vita, infatti aveva bisogno di creare continuamente. E, fino alla fine dei suoi giorni, non ha mai smesso.

Immensa pena per Frida fu quella di non riuscire a portare avanti le gravidanze sorte dalla relazione con Diego: il fragile grembo dell’artista e la sua spina dorsale spezzata non potevano sostenere un’altra vita.

 

 

 

L’esposizione offre, però, anche un video molto romantico, che riprende la coppia felice. Accompagnata da una meravigliosa anche se triste melodia, che da quel giorno mi continua a ronzare in testa: Diego ed io, scritta da Brunori Sas (Cfr. <https://youtu.be/wl1dMwAPOxA>) e ispirata dalla frase di Frida: «Ho subito due grandi incidenti nella mia vita: il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego».

 

 

 

 Probabilmente è rimasta prigioniera di questa tragica idea dell’amore. Forse vi si è sentita condannata dal destino, oppure l’ha scelta con volizione.

Bisogna rammentare, inoltre, che, al pari di Diego e probabilmente più intimamente di lui, era una rivoluzionaria! Per la liberazione del suo paese dalla miseria e l’ingiustizia, credeva nel Comunismo. La potremmo definire una “pasionaria” a trecentosessanta gradi: nell’amore, nell’arte, nella politica.

 

 

 

Le opere della Kahlo, d’altronde, sono innervate da colori accesi, da un segno potente, qualcosa che non si piega alle tragedie, sebbene le interpreti fino in fondo: vi si legge ovunque un ardente desiderio, una profonda fede nella vita.

 

 

 

Negli autoritratti affiora la tendenza a rendersi più bruttina rispetto a la bellissima donna che ci mostrano le foto. Tutti conosciamo, ad esempio, il vezzo di dipingersi le sopracciglia più grandi, folte e quasi unite. Probabilmente non aveva un’autopercezione di sé degna del suo valore di donna, della propria sensuale femminilità. Il fatto che si è ritraesse con dei baffi, fa pensare che si sentisse quasi un uomo, o che giocasse a fingersi da tale, probabilmente per estrinsecare la sua grande forza di carattere. Frida era, d’altronde, una donna dalle tante maschere, come la chiamavano i suoi amici, una “ocultadora” (“occultatrice”).

 

 

 

Le sue opere posseggono anche una classe e un’eleganza signorili. Un approccio onirico e surreale, nonostante resti un’artista figurativa.

Numerosi sono i ritratti di donne nei quali prevale il richiamo alla natura, disegni dallo stile naive.

 

 

 

L’ultima sala della mostra accoglie foto in bianco e nero, scattate dall’artista Graciela Iturbide nel bagno della Kahlo.

In ogni foto si avverte la presenza di Frida, quasi come se si trattasse di autoscatti dell’artista. Presenti nelle foto invece: una protesi della sua gamba; corde e pezzi di metallo che la tenevano assemblata, proprio come una “bimba di cristallo” (Brunori Sas) e un vestito macchiato di sangue.

 

  

Il consiglio è quello di visitare questa mostra che parla di amore, di gioia, di dolore, di vita e di morte, e, soprattutto, di passione senza rimpianti per l’esistenza. E ciò spiega quanto Frida scrisse una volta: che in questo mondo una volta uscita, non voleva tornarci più.

L’esposizione è visitabile fino al 3 giugno 2018.