NOTTI TREMENDE SUL MARE III

NOTTI TREMENDE SUL MARE

ACQUE DI CAPO MATAPAN, NOTTE DEL 28 MARZO 1941, PRIMA “L'INCUBO” NOTTURNO IN CHIAVE SEMISERIA, POI LA REALTÀ...

 

 

 

 

La nave da battaglia Vittorio Veneto

 

     di Vittorio Pisano

 

 

III PUNTATA: L'EPILOGO DELLA BATTAGLIA

 

Ma un altro ancora fu però il vero fattore decisivo a favore degli inglesi, un fattore che aveva già fatto sentire il suo peso in precedenti occasioni e che continuò a pesare per tutti i 39 mesi del conflitto in Mediterraneo: l'assoluta eccellenza del loro comando.

 

 

        Mentre il comandante in mare della nostra squadra -l'Amm. Angelo Iachino- si caratterizzerà in quello scontro di Gaudo e soprattutto nella tragica notte successiva di "Capo Matapan", solo per i ritardi decisionali e per le fatali incertezze che lo costringeranno a passare poi il resto della vita a giustificare i suoi errori; a bordo del Warspite, l'ammiraglia inglese, c'era quello che probabilmente deve essere considerato il più grande marinaio dell'epoca moderna, sicuramente superiore allo stesso Nelson: l'Amm. Andrew B. Cunningham, il Comandante di tutte le forze navali inglesi del Mediterraneo. Quell'uomo mingherlino e dall'aspetto apparentemente insignificante, fu probabilmente tra quei pochissimi attori la cui azione fu determinante sull'esito dell'intero secondo conflitto mondiale.

Si dimostrò dotato, infatti, di grande visione politica (nel dopoguerra ricoprirà anche l'incarico di Primo Lord del Mare, funzione "chiave" in ogni Governo inglese riguardante la politica navale) e di altrettanto grande visione strategica (fu lui a convincere Churchill anon abbandonare il Mediterraneo nel giugno del '40, dove la flotta inglese si era venuta a trovare improvvisamente in grande difficoltà con l'ingresso dell'Italia nel conflitto).

        Sono passati alla Storia gli stratagemmi con i quali riuscì a mascherare i reali programmi della flotta inglese in quel pomeriggio del 27 marzo, mentre da Alessandria si dirigeva verso la squadra italiana.

        Le decrittazioni di Ultra fornite nei giorni precedenti da Londra a Cunningham, avevano infatti svelato che gli  italiani erano in procinto di effettuare una "puntata" in Egeo contro il traffico inglese, che era fittissimo in quelle settimane. Fu Cunninghamstesso a fornire l'interessante racconto delle sue azioni "fuorvianti" di quel pomeriggio, nella sua monumentale autobiografia "A Sailor's Odyssey",tradotta e pubblicata in mezzo mondo, ma purtroppo non in italiano.

        Cunningham ben sapendo che tutti i movimenti della sua Mediterranean Fleet erano in Alessandria sotto gli occhi di numerosissimi informatori, pronti a telegrafare le loro informazioni a Roma e Berlino (tra questi si distingueva l'addetto navale presso l'ambasciata del Giappone, paese che non era ancora entrato nel conflitto), escogitò quanto segue: innanzitutto, già nella tarda mattinata del 27 aveva dato ordine all'Amm. Pridham Whippel di uscire immediatamente con la sua Divisione di incrociatori per rotta nord ovest, quella appunto di diretto contrasto alla squadra italiana, e di disporre le navi, appena fuori dal porto, nella normale formazione prevista dalle procedure di "navigazione di guerra", ovvero con lo "schermo" dei caccia di scorta a precedere e proteggere le unità maggiori. L'obbiettivo era di far arrivare a Roma l'informazione che da Alessandria, usciva in missione verso l'Egeo soltanto una Divisione di incrociatori.

        Fatta trascorrere qualche ora, diede ordine alla Formidable ed al Barham di uscire a loro volta "a lento moto" per rotta nord, per poi cambiare rotta verso ovest e proseguire a velocità maggiore solo quando fossero arrivati in alto mare, lontano da occhi indiscreti.

        Allo Warspite e al Valiant (sul primo aveva stabilito il suo comando) diede invece ordine di restare in porto con le caldaie in pressione; pronti a partire in qualsiasi momento. Fatto ciò, si vestì di tutto punto in tenuta sportiva da golf e, con grande ostentazione, si fece portare dalla sua vettura d'ordinanza al campo di gioco. Mentre la vettura con l'autista rimaneva ad aspettare all'ingresso del campo, Cunningham prendeva un'uscita secondaria, fuori della quale l'attendeva una seconda auto che lo trasportò velocemente al porto, dove fu rapidamente prelevato e condotto da un motoscafo allo Warspite,attorno a cui barche a motore con uomini armati tenevano le barche dei pescatori ben lontane dalla grande corazzata, affinché nessuno potesse riconoscere l'illustre personaggio che saliva di corsa la scaletta del barcarizzo. Con un uomo del genere era davvero difficile competere!

        Sempre Cunningham,racconta che mentre le ultime due grandi corazzate uscivano dal porto di Alessandria, il Warspite, che seguiva il Valiant a breve distanza dalla sua poppa, "sgarrò" di qualche decina di metri dalla rotta ottimale e si trovò a navigare per un tratto su un bassofondo, cosa che gli fece aspirare una grande quantità di sabbia. Quando in mare aperto Cunningham impartì l'ordine di mutare rotta e contemporaneamente aumentare la velocità, l'apparato motore del Warspite andò subito in avaria e per varie ore la velocità della nave ne risultò fortemente ridotta, costringendo anche il Valiant a rallentare.

        Un fatto del genere, che solitamente rappresenta uno svantaggio per chi deve inseguire, fu invece un fattore di perfetta sincronizzazione temporale degli interessi tattici inglesi: senza quelle ore di rallentamento, la squadra delle corazzate inglesi avrebbe stabilito il contatto con gli incrociatori italiani, non durante le ore notturne, bensì nelle ultime ore di luce del 28, quando sarebbe risultato possibile avvistarle a distanza e la superiore velocità delle unità italiane avrebbe a quel punto consentito loro di sottrarsi allo sfavorevole combattimento. Inoltre sarebbe stato ancora presente in quelle acque il Vittorio Veneto a dare man forte ai nostri incrociatori.

        Giustificate o no che siano le recriminazioni Italiane contro il fato, sta di fatto che gli accorgimenti "diversivi" di Cunningham raggiunsero pienamente il loro scopo: fino alla sera del 28 marzo, sia i comandi tedeschi (che avrebbero dovuto mettere a disposizione quella ricognizione e quella copertura aerea a protezione della nostra squadra in mare che invece mancò del tutto) sia Supermarina rimasero convinti che la Mediterranean Fleet fosse ancora sostanzialmente tutta ai suoi ormeggi, nel porto di Alessandria.

        Solo a sera inoltrata del 28, quando lo scontro di Gaudo si era già concluso e le navi Italiane erano sulla rotta di ritorno verso i porti nazionali, Cunningham, sentendo che la "preda" gli stava sfuggendo, si risolse a rompere il silenzio radio, che fino a quel momento aveva rigorosamente osservato con le sue navi. Trasmise infatti alla Formidable l'ordinedi sfruttare quelle ultime ore di luce per disporre un attacco di aerosiluranti contro la squadra  italiana, nella speranza -che poi si realizzò- di "azzopparne" qualche unità e di ritardarne in tal modo la fuga, permettendo al "grosso" della Mediterranean Fleet di piombarle addosso. "Azzoppa per me qualcuna delle galline in fuga" aveva testualmente fatto trasmettere -tradendo peraltro non poca spocchia- al comandante della Formidable, scommettendo dieci scellinisulla sua riuscita.

        L'intercettazione di quell'inaspettato messaggio radio del nemico (effettuata contemporaneamente sia a Roma, presso Supermarina che a bordo del Veneto, nonché presso i Comandi aerei tedeschi in Italia meridionale e nord Africa), non conteneva elementi utili a dissipare le incertezze sulla posizione e sull'entità delle forze nemiche in mare e moltiplicava le angosce che derivavano dal timore di una loro improvvisa apparizione. Le successive triangolazioni radiogoniometriche del punto di origine della trasmissione nemica che Supermarina, non appena in grado, trasmise a Iachino sul Veneto, dicevano testualmente che: "...era stata rilevata un' unità nemica sede di comando navale in mare a circa 70 miglia marine dalla sua poppa".

In realtà, quando quell'indicazione di Roma giunse sulla plancia comando del Veneto,le 70 miglia si erano già ridotte a meno della metà (distanza quindi più che alla portata di un confronto di artiglieria tra quel tipo di navi).

         Supermarina si lavava sostanzialmente le mani, trasmettendo al nostro Comandante in mare una notizia priva di qualsivoglia parere interpretativo, una notizia che poteva significare tutto ed il suo contrario. Iachino era stato lasciato solo con le sue responsabilità di fronte alle gravi decisioni che quella notte gli avrebbe richiesto, e piombò quindi nell'apprensione, dimostrando nelle ore successive di non avere le spalle sufficientemente larghe per sostenere quelle responsabilità.

        Lo scontro di Gaudo del pomeriggio/sera del 28, al quale le tre corazzate inglesi non avevano preso parte poiché ancora troppo distanti, era risultato improduttivo e verrà in futuro classificato dagli storici come un'occasione perduta per la Regia Marina (il "Veneto" aveva svuotato parte delle proprie santabarbare da 381 senza riuscire a mettere a segno un solo colpo sugli "Ajax"), oltre ad essere il prologo della "mattanza" di Capo Matapan della notte successiva. In quella notte, le tre corazzate inglesi, dopo oltre trenta ore di ininterrotto inseguimento alla loro massima velocità, piomberanno improvisamente nell'oscurità, su una Divisione di nostri incrociatori attardati dal siluramento subito da uno di essi –il Pola, appunto- nel corso dell'attacco aerosilurante comandato la sera precedente da Cunningham.

        Nel violentissimo, breve ed impari scontro che ne seguì vennero affondati tutti e tre i nostri "disgraziati" Zara (l'incrociatore "Zara", unità capoclasse, insieme al "Pola" ed al"Fiume") oltre a due dei loro 4 caccia di scorta: l'Alfieri ed il Carducci;mentre i restanti due: l'Oriani ed il Gioberti, riuscirono a sottrarsi per miracolo al fuoco inglese.

Vi persero la vita anche 2.331 poveri marò  italiani, che rimasero per sempre in quelle acque.

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        Avevo un caro zio di Taranto che, come tanti giovani dai quella città, era imbarcato sull'incrociatore "Zara".

        Lo Zara ful'unità che, in quella tremenda notte di Capo Matapan,registrò più caduti in assoluto: quasi mille, folgorati da ben n. 104 devastanti colpi da 381 provenienti dal tiro di tutte e tre le corazzate inglesi (si pensi che solo 3/4 colpi di quell'enorme calibro, ben assestati sulla linea di galleggiamento, sarebbero stati sufficienti a cancellare dal mare  un incrociatore da quasi 15.000 tonnellate come lo Zara). Quei colpi vennero sparati da distanza brevissima, quasi a "bruciapelo" nell'accecante fascio di luce dei proiettori notturni improvvisamente accesi dalle navi nemiche, senza che le nostre unità potessero apprestare una pur minima azione di contrasto.

        Dopo non più di qualche minuto di sottoposizione a quella apocalittica concentrazione di fuoco, che forse non ha eguale nella storia dei moderni conflitti navali, l'incrociatore Zara, immediatamente divenuto un'immensa bara di fuoco, colò a picco in posizione orizzontale.

        Mi soffermo su questo particolare perché si trattò di qualcosa che ebbe dell'incredibile: qualsiasi oggetto che galleggi e non abbia una forma sferica bensì "allungata", come una nave, si inabissa sempre per una delle sue estremità poiché quella è la parte in cui il suo scafo ha riportato la falla attraverso la quale sono state imbarcate le migliaia di tonnellate di acqua che lo trascinano sul fondo. Una nave affonda di prua (ricordate il film "Titanic"?) di poppa o capovolgendosi su di un fianco, come avrete visto in decine di film.

        Con lo Zara si verificò invece il terrificante fenomeno per cui il suo scafo, venne letteralmente "sventrato" dalle cannonate inglesi da poppa a prua lungo causando il contemporaneo allagamento di tutti i locali della nave, cosa che determinò l'inabissamento in orizzontale, quasi fosse un "ferro da stiro".

        Il destino in quei giorni fece a quel mio zio probabilmente il più grande regalo della sua vita: nel pomeriggio del 27 marzo, quando l'incrociatore salpò le ancore per l'ultima volta dal suo ormeggio in "Mar Piccolo", per prendere il largo insieme alle altre unità della I° Divisione, lui non era a bordo perché in convalescenza da tempo ed assegnato poi ad altra unità. Era quindi per sua fortuna tra coloro che, assiepati lungo le ringhiere del lungomare all'altezza del famoso Ponte girevole di Taranto, salutavano gli equipaggi schierati sui ponti di coperta delle unità in uscita.

        Per tutta la vita conservò l'immagine dei suoi amici allineati sulla coperta dello Zara che rispondevano ai suoi saluti. Diceva sempre che l'ultima visione che conservava di quei ragazzi, insieme ai quali era cresciuto per le vie di Taranto "vecchia", erano le alte alberature dell'incrociatore che erano scomparse dietro al promontorio di Capo San Vito, dirette a sud est, verso l' Egeo.

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        Nell'agosto del 1952, dopo essere stata trasportata dalle correnti del  Mediterraneo per più di 11 anni, venne recuperata su una spiaggia in prossimità di Cagliari, una bottiglia contenente un messaggio scritto su un pezzo di tela (su cui  era ancora rilevabile la stampa del nome dell'unità ed il logo della Regia Marina Italiana) proveniente dalle protezioni dalle infiltrazioni salmastre dei cannoni da 203 del "Fiume".

        Il messaggio, che commosse all'epoca l'Italia, diceva testualmente:

 

"Regia Nave Fiume -Vi prego, Signore, di informare la mia cara madre che io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, Salerno. Grazie Signore- Italia"

 

        Incredibile il linguaggio, sembra scritto 1000 anni fa, non nella metà del secolo scorso! Il manierismo delle espressioni non deve però ingannare sulla sofferenza provata da chi lo aveva scritto: quella doveva essere stata certamente reale, angosciosa e, soprattutto... lunga.

        Il povero "marò" era infatti morto 11 anni prima in mare, di stenti, perché evidentemente non avvistato dalle navi ospedale Italiane, che nei giorni seguenti lo scontro avevano incrociato a lungo in quelle acque in cerca dei sopravvissuti.

        Va infatti doverosamente riconosciuto alla civiltà degli inglesi, che la stessa notte del 28 marzo, poco dopo che i loro grossi calibri avevano fatto strage delle nostre 5 navi e dopo le iniziali manovre di recupero delle centinaia di naufraghi che le unità Britanniche stesse intrapresero, ma subito interruppero per timore di siluramenti da parte di sottomarini  italiani o tedeschi, Cunningham ordinò ai marconisti del Warspite di inoltrare immediatamente un messaggio radio, "in chiaro", a Supermarina, direttamente alla personale attenzione dell' Amm. Ricciardi, Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, segnalando la presenza in mare dei numerosissimi naufraghi italiani e fornendo le precise coordinate della zona.

 

        Nonostante ciò, furono più di 2.300 i giovani marinai italiani la cui vita ebbe fine in quella notte.

 

 

Vito Pisano