LA CUCINA GOURMET DI CHEF TRABOCCHI
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- Categoria: Gusto
- Pubblicato Mercoledì, 29 Aprile 2015 16:53
- Scritto da Francesco Frigione
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ARTE CULINARIA ITALIANA NEGLI USA:
LA CUCINA GOURMET DI CHEF TRABOCCHI
Lo Chef Fabio Trabocchi in cucina, con suo figlio Luca
di Federica Mennella
Abbiamo intervistato lo chef Fabio Trabocchi nel suo “Casa Luca”, nella downtown, il nevralgico centro commerciale di Washington D.C. . Nonostante il ristorante si trovi in una delle zone più trafficate e febbrili della capitale americana, entrandovi si ci si sente subito trasportati in un autentico angolo d’Italia e non si avverte la sensazione di essere finiti nella tipica “ricostruzione di locale italiano negli Stati Uniti”. Saranno forse alcuni dettagli dell’arredamento, la scelta di cibi e di vini regionali italiani -marchigiani - o i modi genuini e gentili di Chef Trabocchi. Fabio possiede, infatti, un senso di ospitalità genuino e spontaneo, che traspare dalla cura dei dettagli del servizio, dal menù e dall’atmosfera che regna in “Casa Luca” tout court. La conversazione con lui fa sentire a casa, così come il sapore dei suoi piatti, sempre raffinati e perfetti, dal gusto bilanciato, mai troppo pesanti o sovraccarichi.
Washington D.C., esterno del ristorante “Casa Luca”
FM - «Quando e come nasce la tua passione per il cibo?»
FT - «Nasce dall’osservazione del modo di vivere dei contadini marchigiani e dagli insegnamenti di mio padre, Giuseppe Trabocchi, dal quale ho ereditato l’amore per la cucina.»
FM - «Quale percorso ti ha condotto al traguardo attuale?»
FT - «Mi sono formato in Italia, compiendo una serie di apprendistati con alcuni grandi chef italiani: Gualtiero Marchesi, in Via Bonvesin a Milano; Silvano Prada al Grand Hotel Orologio di Abano Terme; Alfredo Chiocchetti a Ja Navalge Moena, in Val di Fassa etc. Ho poi continuato la carriera culinaria a Washington DC (2 anni), a Marbella (2 anni), a Londra (3 anni), a Mosca (1 anno), in Virginia (7 anni) e a New York (3 anni). Infine, nel 2010, sono tornato a Washington DC per aprire mio il primo ristorante come chef e propretario, e l’ho chiamato “Fiola”. Dopo i primi tre anni di “Fiola” abbiamo aperto altri due ristoranti – “Casa Luca” e “Fiola Mare”. »
FM - «Che tipo di cucina proponi?»
FT - «Il ristorante Fiola offre una cucina regionale, ma secondo un’interpretazione moderna ed elegante. Casa Luca propone una cucina marchigiana regionale autentica, basata anche sulle nostre ricette delle ultime tre generazioni della nostra famiglia. Fiola Mare invece, serve cucina italiana di solo pesce.»
FM - «Che origini ha e cosa significa il nome “Fiola”?»
FT - «“Fiola”, nel dialetto marchigiano (ma anche romagnolo, toscano e veneziano) significa “figlia”. Spesso questa parola è usata dai padri affettuosamente. Quindi il nome “Fiola” è perfetto, perché questo ristorante è dedicato a mia figlia Aliche.»
FM - «Che cibi mangi?»
FT - «Mangio di tutto. Dipende molto in che periodo dell’anno e in che luogo mi trovo.»
FM - «Ti piace se una persona cara o un amico cucina per te, o sei molto esigente?»
FT - «No, sono mai esigente quando qualcuno cucina per me. Per me conta di più la compagnia di chi cucina rispetto a quello che mangio.»
FM - «Come ti sorgono le idee per i piatti?»
FT - «Le idee migliori mi vengono alla vista dei prodotti da utilizzare. E poi le eseguo cercando di tradurre in chiave moderna la cucina classica italiana e regionale.»
FM - «Che cosa pensi degli alimenti biologici e di quelli cosiddetti “a Km zero: cambiano davvero il sapore in cucina o li consideri “una fissazione” inutile?”?»
FT - « Credo che ogni ristoratore debba dare supporto ai produttori locali. Allo stesso tempo, è molto difficile per un ristorante affidarsi esclusivamente a quelle risorse. A meno che non si tratti di una scelta che caratterizza l’offerta in maniera specifica.»
FM - «Che cosa significa per te cucinare per gli altri?»
FT - «Provocare emozioni.»
FM - «E tu che emozioni provi nel farlo?»
FT - «Una soddisfazione unica! Questa è sempre stata la mia motivazione principale.»
FM - «Quali elementi del lavoro ti affascinano in particolare?»
FT - «La sfida che si rinnova quotidianamente. Poiché il nostro lavoro non è mai lo stesso. L'apprendimento costante che deriva dal fatto che tutto può essere realizzato meglio. L'opportunità di dare alle persone l'esperienza di dimenticarsi dei loro problemi e di godersi la vita, per qualche ora. Seguire le persone che lavorano con noi e assistere allo sbocciare del loro talento.»
FM - «Descrivi il lavoro dell’Executive Chef. E’ divertente, duro, squassante, “addictive” (“portatore di dipendenza”), o che altro? Come lo definiresti?»
FT - «Tutti gli aggettivi elencati, e molti altri ancora! Richiede tanto coraggio e la forza di mettersi alla prova ad ogni istante.»
FM - «Qual e’ l’ingrediente segreto di un esercizio di successo?»
FT - «Il servizio e la grande ospitalità. Due fattori quasi più importanti della cucina. Il cibo deve essere buono, non c’e’ nessun dubbio, ma per un ristorante di successo l'ingrediente chiave è un impareggiabile livello di servizio e un’ospitalità sincera.»
FM - «Che suggeriresti a un aspirante Chef?»
FT - «Fai qualcos'altro! Scherzo … Se vuoi ottenere successo, lavora con intensità e in maniera umile e concentrata. Concentrarti sulla dedizione aiuta a sobbarcarsi i necessari sacrifici. Sappi che l’obiettivo che ti poni lo devi raggiungere attraverso un piano di lavoro di cinque/dieci anni. Non perdere mai di vista la meta iniziale e il percorso necessario per raggiungerlo. Tutto è possibile, ma niente è facile.»
FM - «Da “Kitchen Confidential” [1] in poi sappiamo tutti che il lavoro di uno chef stellato è davvero molto stressante. Come mantieni il controllo e un equilibrio psicologico, nel lavoro come nella vita privata? »
FT - «L'equilibrio non esiste! Lo stress è qualcosa con cui ho imparato a convivere. Stress, paura e sfide si trasformano in motivazioni eccezionali per spingere il lavoro a un livello di qualità più alto.»
FM - «Qual è la figura che più ha influenzato la tua carriera?»
FT - «Come accennavo già all’inizio, mio padre, Giuseppe Trabocchi.»
FM - «Ci puoi descrivere il tuo processo creativo, magari facendo riferimento a un piatto?»
FT - «C’e’ un piatto sul menù di “Fiola Mare” che mi piace molto. Si chiama “Under the Sea” (“Sotto il mare”). Ha origine dal classico brodetto di pesce mediterraneo. Dove sono cresciuto, vicino ad Ancona, il brodetto è un preparato quasi sacro. La ricetta tradizionale richiede tredici pesci diversi, uno per ogni persona presente all'Ultima Cena. E poiché ogni chef è il prodotto di un luogo e di una tradizione - e io sono uno chef marchigiano - ho sempre un brodetto nel menù. Nel caso di “Under the Sea”ho introdotto alcune variazioni capricciose rispetto alla versione tradizionale. La mia intenzione è stata di riprodurre il fondale marino: ad esempio, la sabbia è rappresentata dalla quinoa[2] e le alghe marine dai funghi maitake[3]. Ci sono almeno cinque pesci diversi, due generi di molluschi, e il polipo o i calamari, i tartufi di mare e il fegato grasso. Ho accolto l’influenza asiatica anche nel brodo, che facciamo con il dashi[4] arricchito con l’aroma delle scorze di parmigiano.»
Il piatto di mare dello Chef Trabocchi “Under the sea”
FM - «Qual è il ricordo più lontano nel tempo che hai della tua passione per il cibo?»
FT - «Quando ero un ragazzino, la ciambella di mio padre, appena uscita dal forno, era insuperabile! Una bontà esclusiva, così come le sue braciole ai ferri o gli gnocchi fatti a mano, la domenica, sulla spianatoia.»
FM - «Prova a compiere uno sforzo d’immaginazione, a farti ghermire da una fantasticheria: tra vent'anni, ti vedi con le stesse propensioni e attitudini di oggi, oppure coinvolto in un altro tipo di scelte professionali ed esistenziali?»
FT - «Non posso descrivere con certezza come la mia vita sarà in un futuro così lontano. Di certo mi propongo di continuare ad aprire ristoranti di alta qualità, dando opportunità a giovani chef di talento, e di creare un'organizzazione che si distingue per il servizio e l'ospitalità.»
FM - «Ti è mai accaduto di sognare te stesso in cucina, mentre prepari o inventi un piatto?»
FT - «Questo sogno lo vivo tutti giorni, da sveglio, quando lavoro nella cucina dei miei ristoranti. Faccio quello che ho sempre desiderato, e sogno di continuare a farlo.».
[1] Kitchen Confidential: Avventure gastronomiche a New York, libro di Anthony Bourdain, Feltrinelli, Milano, 2000.
[2] La quinoa (in spagnolo quínoa o quinua) (Chenopodium quinoa) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Chenopodiaceae, come gli spinaci o la barbabietola. I semi di questa pianta, sottoposti a macinazione, forniscono una farina contenente prevalentemente amido, il che consente a questa pianta di essere classificata merceologicamente a pieno titolo come cereale nonostante non appartenga alla famiglia botanica delle graminacee o poacee. Si distingue da altri cereali per l'alto contenuto proteico e per la totale assenza di glutine (da Wikipedia).
[3]La Grifola frondosa (ovvero Grifos frondosus) è un fungo non molto diffuso che cresce sotto gli alberi di castagno ed appartiene alla famiglia delle Meripilaceae. In Giappone e nel mondo è anche conosciuto col nome di "Maitake" (da Wikipedia).
[4]Il Dashi (出汁, だし) è un leggero e limpido brodo di pesce, indispensabile nella cucina giapponese, usato come base di minestre e come ingrediente liquido di molte preparazioni. Il dashi forma la base per la miso soup (zuppa di miso), il brodo chiaro, i noodles(un tipo di pasta molto antico sia dell’Europa che dell’Asia) in brodo, e molte altre preparazioni come il tamago [abbreviazione di “Tamago kake gohan” (卵かけご飯?) - le tamago sono le uova, kake significa mettere e con gohan si indica il riso bianco - è una pietanza tipica della cucina giapponese, molto utilizzata per la colazione. Chiamato anche “Tamago kakekake gohan” (卵かけかけご飯) o “Tamago bukkake gohan” (卵ぶっかけご飯)] (da Wikipedia).