IL VOLO E LO SCHIANTO

IL VOLO E LO SCHIANTO

Riflessioni frammentarie sulla psiche

che si concretizza e si autodistrugge

 

 

Andreas Guenter Lubitz davanti al Golden Gate Bridge di San Francisco 

 

        di Francesco Frigione

 

  • Andreas Guenter Lubitz [1]  il ventisettenne copilota dell’Airbus 320 della Germanwings – volo 9525, che ha ucciso con sé 149 persone, che viaggiavano da Barcellona a Dusseldorf, il 24 marzo 2015, assai presumibilmente era angosciato di non poter più svolgere il lavoro che dava senso alla sua vita; le sue condizioni fisiche (una malattia psicosomatica che gli intaccava la vista) e psichiche glielo avrebbero precluso e ciò gli è risultato inaccettabile. “Riportato a terra” dai riscontri medici, a dispetto della propria “volontà di potenza”[2] e del richiamo emesso dalla sua stessa sofferenza psichica. A questa il giovane tedesco non ha saputo dare ascolto e, non appena se ne è presentata l’occasione, con fulminea e implacabile determinazione,  Lubitz ha travolto fatalmente tutto quello che era legato alla dimensione del volo: sé, il resto dell’equipaggio, i passeggeri e, indirettamente, anche la compagnia per cui lavorava.

 

 

 


 Iacob Peeter Gowy, La caduta di Icaro, Madrid, Museo del  Prado

 

 Josef Heintz il Vecchio, Caduta di Fetonte, Museum der bildenden Künste 

 

  • Icaro e di Fetonte, i dannati del cielo, fanno capolino in questa spaventosa vicenda contemporanea.

 

  • Nel Faust di Goethe, al protagonista s’impone una misteriosa discesa alle “Madri”: se eludesse tale viaggio non potrebbe salvare l’umanità e se stesso. Allora Mefistofele – personificazione della “diabolica” scissione tra psiche e materia - prevarrebbe, impadronendosi definitivamente dell’anima dell’eroe.

 

Faust di Johann Wolfgang von Goethe, locandina

 

  • Chi “punta in alto”, se vuole evitare una repentina e catastrofica caduta, deve mantenere una relazione simbolica con la dimensione concreta e materiale, deve coniugare l’Alto al Basso. Né può rifugiarsi nell'assolutezza del volo, né schiacciarsi sulla realtà concreta. 

 

 Arco, Rosso, Fuoco, Giallo, Vulcano – Pixabay.com 

 

  • È facile affermare che il giovane pilota ha commesso una tremenda follia. Però, come richiamare alla nostra coscienza il senso di questa azione?

 


La Dea Tellus, Roma, Ara Pacis

 

  • Pensiamoci bene: un uomo che ha fatto del volo, della sfida alla gravità, la propria ragione di vita, può compensare in questo modo l’attrazione spasmodica che, per un altro verso, lo riconduce in basso, alla terra? Sì, certo, purché abbia anche la capacità d’intendere le ragioni di quest’ultima; essa è, psicologicamente parlando, la più potente delle Madri, poiché veicola la forza della materia (che, appunto, viene dal Latino Mater). La Mater rappresenta sia la base da cui spiccare il salto ed essere riaccolti benignamente al termine della parabola discendente, sia una forza di attrazione che, quanto più rifiutata dalla coscienza per sciogliersi dal suo ferreo abbraccio, tanto più si riappropria dell’Io con violenza distruttiva.

 

 

Vincent Willem Van Gogh, Sulla soglia dell’eternità,

Kröller-Müller Museum, Otterlo

 

  • Simbolicamente parlando, dunque, la “Grande Madre Terra”, pervicacemente rifiutata e respinta dalla coscienza, si materializza interamente, rendendo il soggetto incapace di metaforizzare le sue fantasie, le proprie immagini. Quanto più l’Io tende ad allontanare da sé questa “Grande Madre Terra”, tanto più essa acquisisce potere distruttivo, poiché letteralizza le fantasie psichiche profonde, tramutandole in coercizione materiale. Con ciò per il soggetto si apre la depressione più nera e recondita, vissuta essa stessa come una vergogna, una debolezza imperdonabile. Essa può restare invisibile agli occhi di chi possiede un pensiero similmente superficiale e concreto: la contraddistingue l’impossibilità di vivere l’intelligente leggerezza dell’anima, l’incapacità di giocare metaforicamente con il reale.

 

  • Se noi dessimo oggi, pertanto, una risposta solo concreta e materiale al problema (leggo sui giornali che per le compagnie aeree il tema sembra essersi  immiserito alla rozza discussione su “chiusura di sicurezza della cabina del pilota sì o no”), e non intendessimo le necessità di occuparci della materia psichica dei piloti (ma anche di altre categorie di persone), resteremmo nel medesimo registro antisimbolico in cui si è consumato il mostruoso gesto di Lubitz. Ciò che dobbiamo fare è, invece, imparare a “volare”, ovvero creare delle condizioni di psichizzazione dell’esercizio del lavoro, a partire da quelle professioni che implicano maggiori responsabilità e notevoli dosi di stress. Ci dobbiamo impegnare per dare all'anima lo spazio in cui librarsi e restituire alla materia il suo corpo psichico.

 

  • Nella mia lunga esperienza di analista ho potuto constatare come molti tra coloro che, sul lavoro, sono costretti a fronteggiare grandi pressioni emotive e a sostenere incarichi di responsabilità sociale, raramente appaiono educati alle sottigliezze del linguaggio animico e quasi mai ottengono sostegno alle loro difficoltà psicologiche. Non alludo solo a piloti e a conducenti di mezzi di locomozione, ovviamente, ma anche a  medici, infermieri, giudici, insegnanti, militari, dirigenti, amministratori, scienziati, politici. La maggior parte di costoro, malgrado possieda talenti, conoscenze e cultura, incontra enormi difficoltà a parlare il linguaggio elusivo della psiche, il quale gli resta sovente inintelligibile. Ne deriva una tendenza ad affrontare le proprie e altrui difficoltà con un approccio meramente concreto e meccanico ai problemi più complessi, con inevitabili gravi conseguenze.

 


Francisco de Goya y Lucientes, Un pellegrinaggio a San Isidro (dettaglio)

Madrid, Museo Nacional del Prado

 

  • Se il mondo resta un luogo d’insolubili conflitti e inutili sofferenze è soprattutto perché la psiche si smarrisce nel pensiero concreto e nell'agire pulsionale e il potenziale trasformativo e vitale delle proprie immagini profonde diventa, letteralmente, follia.
 
     

              Francesco Frigione:

       psicologo e psicodrammatista analitico, ha fondato e dirige Animamediatica.
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[1] Su tutti i media, in questi giorni, campeggia la foto del profilo Facebook di Lubitz, ritratto su un parapetto di pietra, dietro il quale s’innalza, maestoso e colorato, il Golden Gate Bridge di San Francisco. Forse molti ignorano che quello splendido ponte è anche famigerato per detenere il più alto tasso di suicidi degli Stati Uniti: dal 1937, quando fu eretto, a oggi, 1200 persone si sono tolte la vita dalle sue altezze. Un premiato documentario del 2006, diretto da Eric Steel, narra la tragica storia di un anno di questi dolorosissimi eventi, che si succedono con la media di uno ogni due settimane. Non credo sia un caso che, proprio ai suoi piedi, Hitchcock vi avesse ambientato la scena del (finto)  tentato suicidio della Madeleine di Vertigo (“La donna che visse due volte”), straordinario film del 1958, del quale sono protagonisti Kim Novak e James Stewart (vedi su You TubeVertigo (3/11) Movie CLIP – Saving Madeleine (1958) HD, https://youtu.be/B8cWjLMuJgo).

[2] Utilizzo il concetto nietzschiano nell’accezione che ne fece Alfred Adler, come risposta – potenzialmente creativa, ma non sempre riuscita – al basico sentimento d’inferiorità