IL MUNDIAL È UNA BALLA CHE GIRA

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IL MUNDIAL È UNA BALLA CHE GIRA

 

        di Francesco Frigione

 

Questa sera alla Itaquerão Arena di São Paulo, la partita Brasile - Croazia inaugurerà la Copa do Mundo FIFA de 2014, ventesimo mondiale di calcio per nazioni. Come eterni fanciulli, ancora una volta, ci lasceremo divorare dalla passione, adoreremo gli eroi trionfanti, per le cui gesta si sprigionerà la nostra gioia smodata o un erebico scoramento.    

 

 

        Prima che il torneo m’intrappoli nei suoi magici meccanismi, stillo qualche residua goccia di lucidità per testimoniare che l’illusione di un gioco puro è finita da tempo, che il calcio, nella sua gran parte, ha assunto i tratti di una manipolazione sistematica, un saccheggio, uno stupro della nostra immaginazione a scopi meramente commerciali. L'amore dei tifosi e anche degli addetti ai lavori, quello autentico e quella pompato da iniezioni di spot e bugie sono confusi ormai inestricabilmente, e hanno trasformato un fenomeno  massimamente spontaneo e interclassista in un sortilegio di privilegi e inganni, di imbrogli e raggiri, di speculazioni e latrocini a livello planetario, un intrico smisurato protetto dallo schermo di uno spettacolo parossistico. 

Per lacerare il velo di menzogna che intossica il football sono stati scritti moltissimi libri di valore, ma a me torna adesso in mente, per analogia, la canzone “God”, che John Lennon scrisse nel 1970 per scaraventare giù dai piedistalli gli idoli della musica che aveva fatto la sua stessa fortuna (https://www.youtube.com/watch?v=jknynk5vny8).

 E sì, l’analogia vale, solo che ci manca un John Lennon del calcio, ora che il gioco ha acquisito i connotati della stessa spericolata speculazione che lo corrompe: ritmi frenetici, competizioni continue, cifre di mercato iperboliche, cancerosa proliferazione dell’informazione, quasi sempre bassa e ignobile. In tal senso “a Copa do Mundo brasileira” si propone come il salto nell'iperspazio di questo “futebol”  totalitario, la sua ipostasi geopolitica: la nazione rinomata per un calcio appannaggio viscerale del popolo, forse suo unico tesoro, non può fruire di quegli stadi che tanto le sono costati, a causa dei prezzi dei biglietti che solo i ricchi e gli stranieri possono consentirsi.

La stessa costruzione degli stadi e delle infrastrutture ad essi collegate (sono stati edificati ex novo, o abbattuti e ricostruiti per intero, dodici impianti sportivi, laddove ne sarebbero tranquillamente bastati otto) ha significato certamente un’avveniristica avventura dell’architettura contemporanea, sensibile alle esigenze del confort, dell’agibilità, del risparmio energetico e del basso impatto ecologico, e un impiego di tanta manodopera semplice e specializzata in tutto il paese, ma anche molte altre cose assai negative: sperpero di denaro pubblico e vistosa corruzione, con conseguenze sulla qualità dei lavori e sulla sicurezza delle maestranze (venti morti accertati e una pletora di feriti gravi), sfratti indiscriminati e brutali ai danni di abitanti delle baraccopoli, che sorgevano nei luoghi deputati alla trasformazione urbanistica, dispersi con la violenza da una polizia e da un esercito ancora fascisti; proprietari di bicocche, venutisi a trovare in posti molto allettanti per la speculazione, a cui è stata riconosciuto come rimborso poco più di un’elemosina.  Le stime diffuse da Amnesty International riguardo al numero dei senzatetto e alla repressione sono allarmanti (cfr. http://www.amnesty.org/en/region/brazil)! 

        Le manifestazioni di protesta che hanno attraversato il Brasile, e che seguitano a turbare i sonni dei governanti suoi e della FIFA, stanno facendo udire, dunque, la voce di un popolo da sempre abituato a chinare la testa con remissività di fronte all'ingiustizia. Parlo anche di questo al telefono con il mio amico Claudio, grande appassionato di calcio, un italiano che ha deciso di vivere a Maceió, “a cidade mais bonita do Nordeste”: «No, io allo stadio non ci vado neanche morto, le partite me le vedrò comodamente in televisione: guarda, qua la disorganizzazione è totale e i biglietti costano un occhio della testa. Negli ultimi anni la vita è aumentata in maniera esponenziale, ma non gli stipendi. Quelli che erano ricchi prima, oggi lo sono ancora di più, e quelli che comandavano prima, oggi comandano ancora più liberamente».

 

 

Proteste, a San Paolo, del movimento “Nao vãi ter Copa”

 

        Il suo discorso mi richiama quello che qualche anno fa raccolsi a Florianópolis, nel Sudeste del Brasile, da una professoressa di economia politica di origini italiane.  Lei mi svelò che l’allora governo Lula stava sì aiutando gli incapienti a emergere dalla miseria, ma lo stava facendo a danno esclusivamente del ceto medio e proteggendo i privilegi delle grandi lobby di potere economico e finanziario, le quali si arricchivano indisturbate. Con l’attuale presidentessa Dilma Rousseff tale processo non solo pare confermato, ma, addirittura, sembra aver subito un’accelerazione.  Pertanto, i rappresentanti della sinistra democratica al governo hanno sia ragione che torto nel rivendicare, come ha fatto ultimamente la Rousseff, i propri meriti in ambito di giustizia sociale e sviluppo.

Tornando al mio amico Claudio, lo ascolto delinearmi la realtà nelle sue forme più crude ed essenziali: «Forse a São Paulo le cose funzionano meglio, ma qui e in molti altri posti la macchina dello stato è di un’inefficienza spaventosa: se vado in un pronto soccorso per un urgenza, non mi attenderanno mai: davanti a me aspettano almeno dieci persone dissanguate da qualche proiettile rimediato in una sparatoria. E poi, negli ospedali pubblici, a parte la chirurgia d’urgenza, non ci sono macchinari, né farmaci, e manca quasi completamente il personale. Per ottenere l'assistenza sanitaria devo pagare un’assicurazione carissima e per far studiare mia figlia sono costretto a iscriverla in scuole private ancora più care. Io me lo posso permettere a stento, moltissimi no. Naturalmente ci sono i ricchi, anzi i ricchissimi; credimi, gente così carica di soldi che ignora persino quanti ne ha; e questi ricchi non si nascondono affatto: al contrario, ci tengono a ostentare la loro condizione!».

       Penso: questo è il Brasile, certo. Ma è pure, in misura maggiore o minore, ogni angolo del mondo globalizzato e in via di omogeneizzazione: l’iniquità, per cui la classe media, quando esiste, viene progressivamente erosa e smantellata, il proletariato sfruttato, il sottoproletariato schiavizzato o escluso da ogni convivenza civile, l’incontrollabilità dei poteri economico-finanziari, la politica di pura facciata, senza coraggio né intraprendenza, come ricorda con inaudita sincerità ai suoi omologhi il presidente uruguayano José “Pepe” Mujica (https://www.youtube.com/watch?v=3SxkMKTn7aQ). È un mondo che per perpetrare indisturbatamente le proprie turpitudini deve produrre una quantità infinita di disinformazione e propaganda, spazzatura che, come il Mundial alle porte, è proprio una gran “balla che gira”.