UNA

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UNA  

 

 

 

di Luciana Zollo

 

A poco meno di un secolo di vita, Vitangelo Moscarda prende nome, corpo e voce femminili sulla scena di un piccolo teatro nell’antico quartiere di Boedo a Buenos Aires. Il monologo magnetico che racconta la sua storia, versione del classico “Uno, nessuno e centomila” scritta e diretta da Giampaolo Samà, attore e regista italiano d’Argentina, si intitola, infatti, “UNA”. Il rapporto dell’opera con il testo di Pirandello è di ammirazione scrupolosa, allo scopo di farne risaltare  l’universalità,  ma la sostanziale fedeltà al teatro del Maestro è incarnata dall’interpretazione di Miriam Odorico che, unica protagonista monologante, è letteralmente posseduta di volta in volta da tutti i personaggi della vicenda.

Man mano che il racconto procede, sono gli altri a vivere in lei, dandole voce, gesti, atteggiamenti, espressioni, frutto di sentimenti e passioni che Angela Moscarda vive consumandosi fino ad arrivare, nei momenti della massima tensione dovuta all’annullamento del sé, alla scomposizione e alla disintegrazione. Il dramma pirandelliano dell’identità frammentata e del relativismo gnoseologico è portato sulla scena dall’espediente audace di far vivere tutti i personaggi in un solo corpo e di far accogliere tutte le voci in una sola voce narrante. Così, la donna senza età che abita la scena in solitudine, che si compone e scompone sempre seduta su una sedia  -  banco dell’imputato  e  scanno del giudice -,  prende  di volta in volta le sembianze, la parola e le forme di tutti gli altri, corpi e voci di marito, suocera, soci e consiglieri, legali e sacerdoti portando a termine il dramma indicibile, la sfida estrema di essere se stessa, con l’esplorazione del vuoto e delle carenze che ciò significa.

 

 

 

Il naso storto, il ticchettio delle zampette del canarino sul fondo della gabbia, la voce stridula del coniuge sprezzante eppure convinto di essere amorevole, l’oppressione implacabile della legge e della religione, i passi delle suore nel convento, la pioggia che bagna le miserie di tutti sono le tessere di un prodigioso, e impietoso, collage che si compone agli occhi e dalla mente dello spettatore. In special modo, il frastuono delle voci, interne alla protagonista e a lei estranee, degli altri personaggi da cui non può essere scissa, la fa diventare una moderna Giovanna d’Arco, destinata al sacrificio ma impavida nella sua determinazione a non lasciarsi più catturare da nulla e da nessuno.

 

 

 

Il corpo di Angela è invaso, attraversato dalla propria storia e dal proprio destino, percorso da mille fremiti, segnato da mille traumi. Il suo viso è uno specchio, un sistema di costellazioni in movimento, l’abisso di una caduta senza fine. La veste e contiene una tunica color dell’acqua, o dell’aria, involucro appropriato alla sua natura effimera ed elevata.

 

 

 

A Buenos Aires i teatri stanno riaprendo e la città riprende alcuni dei suoi ritmi e colori, con uno sforzo di consapevolezza, con una gioia contenuta, con il sacrificio del tempo sospeso. Non si poteva immaginare guida più appropriata di Pirandello per un momento del genere: se a noi stessi dobbiamo tornare, aspiriamo all’autenticità. Il teatro, l’arte e tutti noi ne abbiamo bisogno.