CAFÉ DE COLOMBIA

CAFÉ DE COLOMBIA

 

 

Bogotá, Colombia, fotografie di Matteo Grenci

 

di Luciana Zollo                

 

Alla fine della lezione si avvicina alla cattedra per porgere un pacchetto di caffè al professore: “Dalla Colombia”. Ha un sorriso luminoso e sembra giovanissima. Bruna e minuta, i grandi occhi dalle palpebre leggermente abbassate sull'esterno, il viso senza trucco, ad eccezione del rossetto carminio sulle labbra infantili.  Siamo nel 1979, l'Alliance Francaise  di Bruxelles è un petit hôtel dalle scale di legno scricchiolanti, le aule ricavate in anguste stanzette, l'ufficio di segreteria rintanato in un mezzanino e l'anziano direttore che sembra appena uscito da un dagherrotipo. Nei locali polverosi e malmessi il francese classico e forbito a cui aspirano gli studenti, provenienti da ogni dove, risuona come una musica anacronistica ed ammaliante. Olga, la colombiana, è avvocato e lavora all'Ufficio del Caffé dell'Ambasciata del suo Paese. E' sposata con Emilio. Possiede uno slancio naturale verso gli altri che la porta ad animate conversazioni con tutti, anche se a tratti si rinchiude in uno stato di osservazione silenziosa, con lo sguardo lontano e improvvisamente spento.

 

 

Bogotá, Colombia, fotografia di Matteo Grenci

 

Oggi ha rincorso all'uscita una giovane italiana tenendo in mano un foglietto dove ha annotato con una grafia decisa e tondeggiante i suoi consigli di lettura urgente – aggettivo sottolineato due volte - : Roa Bastos, Carpentier, Vargas Llosa,  e - titolo sottolineato ben tre volte – El otoño del patriarca di García Márquez. Conscia ed orgogliosa del successo di Cien años de soledad, si prodiga nel raccomandare la lettura delle indispensabili, a suo dire, conversazioni tra Gabo e Plinio Apuleyo Mendoza intitolate El olor de la guayaba, mentre distribuisce esemplari in traduzione di Crónica de una muerte anunciada non appena viene pubblicato in Francia. Incoraggia calorosamente i suoi interlocutori ad imparare lo spagnolo. E' affascinata dallo studente piú brillante del corso, un iraniano sempre vestito di scuro, dagli occhiali con una pesante montatura nera che sembra, finalmente, un vero intellettuale diverso dai sudamericani, baffuti e  supponenti, e dai francesi, o dai belgi, sempre così monocordi e sfuggenti. Alla compagna spagnola con cui parla fittamente confida di essere convinta della necessità di studiare anche il russo, il tedesco e, in un futuro imminente, un po' di arabo.

Olga parla con un tono di voce per lo più esclamativo, mentre traccia dei cerchi in aria con lo sguardo e con le mani. I suoi racconti fatti di parole, sguardi, gesti ed espressioni trasportano chi l'ascolta fin laggiù, insieme a lei, tra i costeños da cui proviene la sua famiglia, o sotto il cielo grigio d'alta quota della capitale, nelle verande delle case a bere i succhi deliziosi, preparati ogni giorno dalle donne con un tipo di frutta diverso. Questo suo modo di far viaggiare gli altri verso il mondo da cui proviene le consente di mantenere salde le sue radici e vivo l'approccio della sua coscienza alla magia e alla crudeltà del suo Paese. Olga ed Emilio hanno avuto bisogno di cambiare aria, dopo che lui è stato arrestato per motivi politici e lei ne ha assunto la difesa in tribunale, mentre la sua facoltosa famiglia ha trovato la strada per farli espatriare. Trascorsi un paio d'anni, Olga smette di studiare il francese, resta incinta e si fa sostituire dal marito nell'impiego in ambasciata, spiegando ad un'amica belga, sua vicina di casa, che la burocrazia e le formalità ai tropici seguono strade  molto diverse da quelle usate nel resto del mondo. Quando parla di “Europa”, dapprima lo sguardo le si accende di una fierezza battagliera, poi, soprattutto se si riferisce ai suoi abitanti, assume un tono di condiscendenza verso di loro, come se vivessero in una dimensione infantile e non ancora pronta alla vita. Il primogenito della coppia viene chiamato, senza incertezze, Emiliano.

 

 

Bogotá, Colombia, fotografia di Matteo Grenci

 

Nel 1982 alla cerimonia di consegna del Nobel il marito di Olga partecipa alla delegazione colombiana che assicura a Gabriel García Márquez la scorta di musica e allegria dei Caraibi nel freddo grigiore del dicembre nordico. La festa a Stoccolma dura ininterrotta per alcuni giorni. Ne fanno ritorno racconti velocemente trasformati nell'epopea dell'uomo vestito di bianco all'Accademia di Svezia che ha portato, con le sue storie, la musica ed il profumo della Colombia al centro del mondo. Dall'euforia della premiazione arrivano anche le copie di Cien años de soledad, con dedica dell'autore, da distribuire agli amici di Bruxelles.

Mi spiega che in ogni casa dove nasce un bambino ci dev'essere una sedia a dondolo, una mecedora, per allattare, cullarlo e farlo addormentare. Seduta sulla sua sedia a dondolo, tiene in braccio il secondogenito Emilio José quando il bambino smette di respirare. Olga racconta decine di volte la corsa angosciata in ospedale, la decisione dell'operazione d'urgenza al piccolo, nato con una malformazione cardiaca congenita, l'attesa snervante dell'esito e delle notizie successive. Con tutta se stessa esprime il senso di solitudine e smarrimento in cui è sprofondata, descritto come la sensazione improvvisa di abitare in un mondo che non è più tale. Il suo ritmo vitale subisce un brusco colpo d'arresto e di ciò si accorge un giovane medico, un tirocinante dello Zaire piccolo e magro, che dimostra sessant'anni pur avendone meno di trenta. La prende in disparte e le parla dolcemente, con una lentezza che sembra difficoltà a trovare le parole mentre è segno della profondità delle sue intuizioni, poi cerca suo marito e lo avverte con cautela della delicata situazione, nell'interesse anche del bambino più grande. Emilio ascolta pensoso, mentre si tormenta i baffi con la mano e cerca di dissimulare l'abbondanza di alcool che ha in corpo, necessaria ad affrontare il difficile momento. Una tempesta di angoscia travolge la piccola famiglia. Olga prova una strana indifferenza verso ogni cosa. Si sente estranea ad ogni idea di forza, mentre la invade un'inerzia scivolosa e trascinante. Trascorre giorni e notti all'ospedale. Le amiche le si stringono attorno. Una di loro le ricorda che nelle ultime settimane di gravidanza sono andate insieme al cinema a vedere Amadeus, il film di Milos Forman sulla vita di Mozart, e che lei aveva sentito il bambino muoversi nella pancia al suono di quella musica potente. Olga ritorna a quei momenti spensierati e pensa che la musica non ha potuto fare altro che preparare il bambino sul punto di nascere alla battaglia aspra, da affrontare solo qualche settimana dopo. Anche Mozart ha vissuto all'insegna del prodigio e della crudeltà, trasformando questi elementi per estrarre bellezza e arte dal dolore più oscuro. Magia e sofferenza rievocano il contrasto del suo Paese, del continente, di quel mondo di cui sente ora con chiarezza l'inevitabile richiamo.

 

Bogotá, Colombia, fotografie di Matteo Grenci

 

Con la ripresa della salute del bambino, la vita sembra tornare ad avere una dimensione abitabile, anche se non allo stesso modo in ognuna delle sue parti. Sul viso di Olga riappare la luce del suo sguardo, mentre si fa strada in lei la decisione di ritornare in Colombia. Durante i preparativi per il viaggio, in un congedo senza malinconia, sentimento a lei sconosciuto, emergono idee e riaffiorano desideri. Dice di voler riprendere la sua carriera di avvocato, forse la politica. I saluti agli amici sono innaffiati di lacrime, nel lucido timore di chi sa bene cosa l'aspetti, anche se è più forte di ogni cosa il desiderio di andare. Il giorno della partenza, è avvolta in una grande sciarpa rossa su un cappottino beige – “Le anime dei Caraibi sanno ricavare forza dal freddo” è una delle sue frasi preferite - , in preda al disagio coraggioso degli abitanti di altre latitudini sotto l'inesorabile pioggerellina che scende dal cielo noioso e prevedibile di Bruxelles. Olga ha vissuto per quasi sette anni nella città nobile, introversa e incapace di stupore. Una città accogliente senza convenevoli, al centro di un piccolo paese caparbio e diviso. La terra piatta, umida e grigia di questa pianura ventosa, calpestata per secoli, ha assorbito le forze magiche e gli istinti crudeli delle lotte acerrime del passato. E' possibile rintracciarne qualche residuo sbiadito al riparo di spazi interstiziali, innocenti e trascurati, come il rito dei mercatini dell'antiquariato all'aperto in tutte le stagioni, o l'anonima sfilata degli stabili nei quartieri di periferia, verso Sud.