ELENA alle Stanze Segrete

ELENA

Alle Stanze Segrete

 

 

Marina Guadagno in Elena

 

di Federica Bassetti

 

Rappresentata dal 16 al 20 aprile al teatro Stanze Segrete di Roma, Elena interpretata dalla attrice Marina Guadagno con la regia di Fabrizio Pucci viene alla luce direttamente dalla scrittura di Ghianni Ritzos uno dei più grandi scrittori greci moderni al quale la regia si sposa con spirito sapientemente tragico, nel ritmo, nelle movenze a tratti sensuali ed evocative dell’attrice, nella messa in scena di eccezionale vivezza e semplicità. 

 

La scenografia ideata da Sebastiano Vianello si compone di un muro opposto agli spettatori, limite estremo e civile di una situazione borderline che ci può offrire qualsiasi metropoli moderna, perché sotto quel muro che circonda e ferma lo sguardo, si respira, si vive, si dorme. Tra i cartoni  e un secchio pieno di immondizia, nascosta da una coperta sfilacciata e vecchia riposa una donna che ora si desta, una senzatetto, una poveretta che dato il primo goffo saluto a se stessa, come per incanto  partorisce sulla strada in mezzo alla polvere e agli estranei passanti, che in tal caso e non a caso sono resi spettatori,  un mondo di luci e ombre fatati, microcosmo di levità e potenza straordinari, un inno all’illusione dell’amore, un incantesimo che è Elena,

 

 

Marina Guadagno nasconde nel suo seno Elena

 

sorella di Clitemnestra, amante di Paride, figlia prediletta di Giove, sì proprio Elena, che si avvale di un corpo in carne ed ossa per raccontarsi e rimpiangersi ma con il sacro intento di sfigurarsi e trasformarsi a partire dall' insondabile e profondo mistero che nell’occhio o kore si cela, l’anima. Che non è mai umana ma inscatolata nell’umano e che si espande a cercare un filo con le altre anime presenti e anche con quelle assenti, al di là del giorno e in nome del rito che realizza il racconto mitico ogni volta. Insomma, dietro i cenci di una barbona qualunque può nascondersi chiunque a quanto pare, anche una principessa, anzi persino un simulacro.

 

 

La ritualizzazione del simulacro partorisce una dea dagli stracci e dalla polvere delle strade

 

Così si è aperta la performance di non facile realizzazione che ha saputo con rispetto onorare mistero e testo, pregno di grecità ed eroismo ma ambientato dal regista in un contesto familiare che ci lascia immaginare sponde salentine dove il greco una volta posò lo sguardo, avido e stupito, tanto da farne il suo regno. E Marina Guadagno fa di Elena quel che avremmo sempre sperato e cioè non una donna soltanto bellissima o un boccone amaro che il mito digerisce a mala pena, bensì essenza magica, profumo di mare, simulacro, fantasma di gioie e dolori eternamente raccontati, sopiti, forse mai accaduti.

Emerge la forza attoriale di questa attrice che sfiora lo stato di trance, soprattutto nelle parti danzate quando al ritmo della Taranta e all'ombra di una grecità sommessa nascosta nel sud della nostra civiltà Italica, Elena regna e inganna ricordando a stento eroi, sangue e sfinimento e rifulgendo di quella bellezza propria ed impropria, senso di ogni non senso che è sordità e cecità del mito di fronte al tempo. Senza superare i limiti dell’odierno e restando ancorate ad un invisibile centro, le parole sensuali e nostalgiche riverberano, lasciando immaginare urla sommesse, eroi in battaglia, spade, polvere e onori, principi sordi di antiche e foriere litanie. Al fantasma dell’eroe che ascolta la sua storia, l’assente senzatetto chiede di restare, soprattutto quando, tolto il logoro capotto maschile e la folta sciarpa, si rivela principessa, con un peplo festoso indosso.

 

 

Da brava menade, l’attrice inizia sé stessa alla danza

 

Innamorata della propria ammaliante e mortifera bellezza, Elena si annuncia allora come il segreto più grande, l’enigma. La nostalgia dei bei tempi in lei è sensazione, il racconto presente, lucido è solo finzione, vivere è rinascere ogni volta, morire è cogliere l'attimo, vacillare sull'orlo dell’abisso è gioco dalle mille forme, è bellezza e amore del sogno. Ed è proprio nell'assurdo, nel vacuo e nel vano che riposa l’antico anelito mitico all’illusione e all’incantesimo, fatto straordinario e naturale che contrae l'essere umano nel punto più minuscolo del cosmo anzi dell'universo, dove tutte le misure si pareggiano, dove il non senso combacia con il senso e dove gli opposti si ritrovano. In questo dolce limbo vive e non vive Elena, posseduta però da qualcun altro, e allora forme di altri esseri premono sul viso, sul collo dal fondo del suo stesso corpo, lasciandola libera di agitare le braccia sinuose e lievi come i rami di un secolare e primaverile albero. La bravissima attrice danza a piedi nudi, bei piedi adorni e liberi, e si dimena, da brava menade, e buffamente contorce le spesse e sensuali labbra e torce gli occhi profondi e neri e poi ammalia con sguardo tagliente gli spettatori, immersi ed emersi alla fine dello spettacolo, da uno stato di trance gioioso e dionisiaco che la più bella donna del mito greco, specialista in contraddizioni e aporie, ispira come se dirigesse un coro.

 

 

Un momento di trance durante la danza

 

Lo spettatore insomma, avvista fors’anche il satiro e il bosco arcaico lì in fondo, le rovine di Troia, il cavallo, gli eroi, persino gli dei che dall’alto tra le nuvole occhieggiano tra le battaglie, vincitori e caduti. Il rito è concluso, si torna a casa con un po’ di bellezza in tasca e il mito si riaddormenta, Elena si nasconde di nuovo sotto il cappotto, chiuso il bel collo nella ruvida sciarpa e allora, sale su come un principio di singhiozzo, la domanda: la barbona ha inventato tutto o è stata davvero principessa? E lei, Elena è stata una mendicante dell’eros oppure la sua eroina più perfetta? Nessuno ha la risposta. E se “Nessuno” è stato il nome di Ulisse fuggito a vele spiegate dall’isola del ciclope tra gli ingrati flutti, la risposta è lì tra onda e schiuma, danzante e gioiosa, tremenda e irosa. Elena.