LA SCORTECATA DI EMMA DANTE

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LA SCORTECATA

UNA FAVOLA INTIMISTA DI EMMA DANTE

 

 

        di Serena Di Marco

 

“La Scortecata”, (scortecata nel dialetto napoletano seicentesco) liberamente tratto da O cunto de li cunti, overo lo trattenimiento de peccerille di Giambattista Basile, noto anche col titolo di “Pentamerone” (cinque giornate) è un’opera teatrale per la regia di Emma Dante.

“O cunto de li cunti, overo lo trattenimiento de peccerille”  è una raccolta di cinquanta fiabe raccontate in cinque giornate, ricavato dalla tradizione orale  popolare.

La regista palermitana analizza questa meravigliosa favola in modo grottesco e inquietante.

 

 

La scortecata, dal Pentamerone di Gianbattista Basile, per la regia di Emma Dante – in scena, Carmine Maringola e Salvatore D'Onofrio

 

La Scortecata si ispira ad un intrattenimento della prima giornata della raccolta e narra la storia di un re innamoratosi della voce di una vecchia, che abita in un fondaco con la sorella maggiore; Carolina e Rusinella vivono in solitudine, aggrappate ai rituali di una velenosa e decrepita simbiosi. L’inizio della scena è frenetico: in mezzo alle due protagoniste si erge la miniatura di un castello, dietro il quale saliranno poi, interpretando il re che bussa alla loro casa.

Ogni giorno le due vecchie si raccontano la stessa storia, che gli consente di anestetizzarsi rispetto alla loro triste realtà. Finché non accade l’incredibile: il re, pazzamente invaghitosi della voce di una delle due, che la sua immaginazione gli dipinge giovane e avvenente, romperà la monotonia delle loro vite, cercando di forzarne le resistenze, alla ricerca di una nuova conquista. E più, per necessità di non mostrarsi e astuzia, la sua “amata” gli si negherà, più in lui monterà un inarrestabile desiderio.

Una delle due sorelle riesce a sedurre il re mostrandogli la sua parte migliore: il mignolo. Così dopo una notte trascorsa insieme, l’uomo scopre la truffa e la lancia dalla finestra. La vecchia rimarrà appesa al ramo di un albero, ma grazie all’ incantesimo di una fata le verrà restituita la bellezza e la giovinezza cosicché potrà convolare a nozze.  

Alla fine della storia la più giovane chiede alla più piccola di “scorticarla” per far uscire dalla pelle vecchia la pelle nuova: immagine simbolica che lascia una vena di tristezza e ci fa riflettere sulla paura della vecchiaia.

Tornando a casa la donna racconta alla sorella invidiosa che si è tolta la pelle vecchia grazie alla fata, spingendola di essere scorticata per avere lo stesso risultato.

 

 

La scortecata, dal Pentamerone di Gianbattista Basile, per la regia di Emma Dante – in scena, Salvatore D'Onofrio e Carmine Maringola

 

I protagonisti, Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, reggono la scena meravigliosamente recitando in corpi ricurvi. Due uomini scelti ad interpretare due vecchie brutte e sole, come nella tradizione del teatro popolare del settecento.

Bellissima e suggestiva l’immagine della trasformazione di una delle sorelle in fanciulla: una luce di taglio ne fascia il vestito bianco e il suo dare le spalle al pubblico gli lascia credere che ciò sia avvenuto veramente.

La favola è raccontata con umorismo e necessaria volgarità in una lingua napoletana antica, ricca di espressioni gergali e di proverbi che donano musicalità alla commedia. Il linguaggio simbolico nasce dalla commistione tra il napoletano seicentesco di Basile e il lessico contemporaneo. Questa simbiosi linguistica risulta all’inizio poco fruibile e poi diviene sempre più comprensibile, trasmettendo un’impronta di profonda autenticità.

 

Emma Dante elabora un mondo intimo e sofisticato, non cessando mai di proporre una fiaba vera e propria, che trova la sua miglior collocazione in una scena scarna.

Il buio in scena spesso si prolunga, potenziando l’espressivo silenzio dei personaggi. Al centro di questo luogo di ombra sorge, come dicevamo, un castello giocattolo color azzurro, issato su uno sgabello, e due sedie di legno. Le luci aranciate disegnano il palco in un quadretto perfetto che cala ancor più lo spettatore in questa dinamica casalinga, quotidiana e magica.

Gli oggetti sono pochi ma necessari, e, come in un sogno, ciascuno di essi assume una funzione molteplice: così la regista rende la finzione tanto densa da tradursi in un’iperrealtà.

Le vicende domestiche si susseguono rapidamente in un’atmosfera cupa e al contempo viva.

I corpi degli attori, nonostante impersonino la vecchiaia, si muovono flessuosi, come danzando. Il rapporto intimo tra sorelle segnate dall’età viaggia sulle note musicali di Reginella, la commovente e nostalgica canzone della tradizione napoletana che ci trascina in questo sogno.

La regista si è confrontata con un testo antico ricercando il concreto ed il visibile, dando una sostanza solida e meravigliosa alla favola di Basile. Con impareggiabile maestria ci descrive l’innamoramento, le descrizioni dell’amato e le emozioni che scatena. Con grande realismo ci narra la vita quotidiana e la condizione umana in tutta la sua desolazione, facendoci arrivare alla tenerezza dei personaggi che cercano un riscatto alla miseria a cui si sentono condannati: un testo profondo che ci fa riflettere sulle nostre emozioni e sulla natura umana.