IL PRINCIPE PROSPERO

 IL PRINCIPE PROSPERO

 

 

 

di Ivan Battista

 

«The vagabond who’s rapping at your door
Is standing in the clothes that you once wore.»

 

("Il vagabondo che bussa alla tua porta

Sta nei vestiti che una volta indossavi tu.")

 

It’s all over now, baby blue. Bob Dylan 

 

Uno dei racconti che mi hanno sempre affascinato di Edgard Allan Poe è La maschera della morte rossa (1842).

 

 

 

 

In questo suo breve scritto (Poe è il narratore per eccellenza del racconto breve), l’autore statunitense descrive una situazione carica di significati simbolici e psicologici che s’attagliano alla perfezione alla nostra contemporaneità. Lo scrittore bostoniano tocca un archetipo ed è per questo che la narrazione, sebbene breve e generica, colpisce nel profondo e resta attuale. Il principe Prospero (così anche nell’originale), uomo felice, intrepido e sagace, a seguito d’un’epidemia, definita “morte rossa”, sviluppatasi nel Paese, decide di rinchiudersi con mille dei suoi più sani e vigorosi cavalieri e dame in una abbazia poderosamente fortificata, lasciando al loro destino le genti più umili. Tra giochi, spettacoli e gozzoviglie varie, la vita scorre spensierata.

 

«Fu verso il finire del quinto o del sesto mese del proprio isolamento, e mentre la pestilenza fuori era al colmo della sua virulenza, che il principe Prospero decise di offrire ai suoi mille amici un ballo mascherato d'insolito splendore.».

 

Nell’ala della costruzione dove il principe, per l’occasione, ha fatto allestire sette stanze, ognuna di un colore particolare, ce n’è una con drappeggi di velluto tutti neri, ad eccezione delle finestre in disaccordo con l’arredo nero perché di un colore rosso sangue.

 

«Le stanze erano così irregolarmente disposte che l’occhio non riusciva ad abbracciarne più di una alla volta. Ad ogni venti o trenta yarde vi era una brusca svoltata. E ad ogni svolta si aveva uno spettacolo di effetto assolutamente nuovo. A destra e a sinistra, nel mezzo di ogni parete, un’alta e stretta finestra gotica si apriva sopra un corridoio che seguiva le sinuosità dell’appartamento. Ogni finestra era a vetri colorati i cui colori variavano da sala a sala per essere in armonia con le decorazioni delle singole stanze. Ad esempio, la stanza che si trovava all’estremità orientale, tutta tappezzata in azzurro, aveva le finestre luccicanti di celeste. La stanza che seguiva era decorata in rosso porpora, e i vetri delle sue finestre erano purpurei. La terza, interamente verde, aveva finestre dai vetri verdi. E allo stesso modo era arancione la quarta, bianca la quinta, viola la sesta. La settima stanza era fittamente rivestita, soffitto e pareti, di tappezzerie in velluto nero che ricadevano in pieghe pesanti sopra un tappeto di uguale stoffa e colore. Solo in quella stanza il colore dei vetri delle finestre non corrispondeva a quello della decorazione. Là erano scarlatte le invetriate, scarlatte con l’intensità del sangue.» 

 

Un gigantesco orologio d’ebano scandisce le ore conviviali con colpi e vibrazioni sonore perturbanti.

 

«(…) un forte, profondo, chiaro suono musicale usciva dai polmoni di ottone della macchina, tanto particolare e solenne che, ad ogni ora, i musici dell’orchestra erano costretti a far pausa per ascoltarlo (…).»

 

Ad ogni battito d’ora, la comitiva, rabbrividita, si ferma il tempo necessario a far sì che il suono della pendola svanisca, per poi riprendere la baldoria dopo un breve attimo di meditazione. Verso la mezzanotte, è individuato tra gli ospiti un mascherato, vestito d’un sudario e una maschera “spruzzata di scarlatto”, riproduzione affatto veritiera e oltraggiosa d’un volto colpito dalla “morte rossa”.

 

 

La malattia misteriosa entra nel “beato” isolamento e fa strage portandosi via le vite dei gaudenti e del principe, che cerca invano, a spada sguainata, di uccidere l’ospite irriverente rincorrendolo fin dentro la sala nera. Non lo raggiunge nemmeno e muore con un urlo agghiacciante, appena entrato nella stanza.

 

 

 

La cosa interessante è che, quando i suoi “nobili” amici raggiungono il misterioso invitato e lo smascherano togliendogli i vestimenti, s’accorgono che sotto l’abito funebre e la maschera non c’è nulla. La maschera della morte rossa è il male che diventa tanto più inesorabile quanto più è grande il vuoto e l’intangibile egoismo di chi crede di potergli sfuggire. Egoismo costituito dall’assenza e dal niente, come tutti gli egoismi.  La metafora, seppur d’effetto, è di facile lettura. Chiunque a questo mondo confida di rinchiudersi, isolandosi, nel proprio interessato tornaconto è un illuso e, tutto sommato, un incompetente. Non solo la storia insegna, ma anche il nostro presente: le politiche economiche neoliberiste (di sfruttamento lineare delle risorse e non circolare sostenibile) negli ultimi decenni hanno sconvolto le democrazie, annullandone in pratica l’efficacia dei diritti (soprattutto quelli dei lavoratori). Tale visione economica favorisce la concentrazione sperequativa della ricchezza nel 10% della popolazione mondiale, lasciando il restante 90% ad arrangiarsi. Il neoliberismo economico è responsabile di una crisi mondiale senza precedenti, per stessa ammissione dei suoi principali esponenti; la medesima “mentalità” calvinista che sottende le politiche economiche neoliberiste lascia perplessi, per cui chi è ricco è giusto che lo sia perché è stato bravo e si è dato da fare, mentre chi è povero merita di esserlo perché non è stato altrettanto “alacre” nel provvedere a se stesso; le conseguenze di un consumismo folle e forsennato, che si fonda su uno sfruttamento univoco illimitato in nome della “crescita”, e che s’abbattono senza scampo sulle risorse disponibili e sull’ambiente, avvelenano il mondo; l’idea che il bene comune sia un “orpello” dello stato sociale che va assolutamente smantellato perché “il benessere non può essere a disposizione di tutti” è una menzogna facilmente confutabile con dati alla mano. Idea, tra l’altro, in contrasto palese con qualsivoglia mandato costituzionale; lo sfregio all’ambiente dovuto alla disattenzione tipica per esso di chi crede di potersi rinchiudere indenne nella propria abbazia fortificata a godere i propri privilegi, lasciando che il resto dell’umanità se la risolva da sola, è una colpa dovuta ad una mentalità che produce insanità globale;

 

 

 

Tutte queste sono facce di un medesimo pensiero che crede illusoriamente di poter sfuggire alla maschera della morte rossa isolandosi e disinteressandosi del dolore altrui.

 

 

 

Coloro che credono di poter vivere meglio pensando solo a sé stessi, abbandonando egoisticamente al proprio destino il prossimo o, addirittura, sfruttandolo senza scrupoli approfittando della loro debolezza, dovranno ricredersi e pagare un conto salatissimo alla fine dei giochi. Lo stesso male dal quale credono illusoriamente di poter sfuggire colpirà inesorabilmente anche loro. La maschera della morte rossa non fa distinzione alcuna perché il male è assolutamente trasversale.

 

 

 

Ha ucciso prima i poveri contradaioli delle tenute del Principe, ma poi giunge anche dentro l’abazia blindata. Luogo ambivalente, l’abazia, che unisce il sacro, rappresentato dalla sua struttura architettonica (in ogni caso, preventivamente fortificata), al profano sensuale e godereccio vissuto al suo interno, senza ritegno e con noncuranza: «He had come like a thief in the night.» (“Come un ladro era venuta, di notte”), scrive Allan Poe, probabilmente ispirandosi alla frase contenuta nella prima lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, 5:2. La morte rossa s’è, comunque, insinuata ed ha realizzato il suo spietato e indistinto compito.

Tornando alla nostra attualità, non serve a nulla costruire muri divisori contro i flussi migratori che spingono per entrare nei confini degli stati “prosperi” perché in tali “abazie fortificate” il male che imperversa e miete vittime “al di fuori”, tra i poveri del mondo, in un modo o nell’altro s’insinuerà “come un ladro (…) di notte”. Sarà molto più intelligente e opportuno regolamentare con attenzione tali flussi d’emigrazione, rinunciando all’illusione di fermarli, per promuovere politiche economiche “disinteressate” che favoriscano un reale sviluppo in quei Paesi dai quali si spostano milioni di persone in cerca di migliori condizioni di vita. Ciò è bene che si realizzi non con un intervento sostenuto da multinazionali in cerca di sfruttamento che lasciano illudere su un loro ruolo trainante dell’economia e che invece, a conti fatti, producono solo ricchezza per sé stesse, lasciandone poco o niente ai paesi nei quali operano. È la solita vecchia storia dell’egoismo contro l’altruismo, lotta che è presente nell’animo umano fin dalla notte dei tempi. Il nostro pianeta è un globo terracqueo sospeso nel cielo e non ha risorse infinite. Sarà bene mettersi in testa che il fine ultimo dell’umanità che esso ospita dovrà essere la sopravvivenza della specie. Tale fine non si raggiungerà sicuramente con la competizione sfrenata che apre al conflitto tra i gruppi etnici, ma si attuerà con la cooperazione ragionata e pianificata dello sviluppo economico e sociale che punti ad un benessere diffuso, comune e sostenibile.

 

 

Le crisi che stanno scuotendo l’Europa, l’Africa, il Medio Oriente, gli USA non sono altro che le immagini dell’archetipo toccato dalla vibrante novella del lungimirante e visionario scrittore di Boston, pubblicata 176 anni fa.

I “Principi Prospero” di tutto il mondo, quelli che si riuniscono nel G20 in particolare, farebbero bene a leggersi con attenzione il racconto e a rifletterci su.

 

 

 

Ancor prima della loro competenza, è la loro psiche a dover evolvere verso una soterica consapevolezza.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Allan Poe, E.

   1842                       Racconti del terrore, Arnoldo Mondadori Editore,

                                  Milano, 1992

 

Paolo di Tarso

    53                          Le lettere di San Paolo, Introduzione, note

e approfondimenti di Rinaldo Fabris,

                                  Edizioni Paoline, Roma, 2009