TRIESTE SCI+FI 2018: INQUIETANTI PROFEZIE, IGNOTO FUTURO, PLAUSIBILI SPERANZE

TRIESTE SCI+FI 2018: INQUIETANTI PROFEZIE, IGNOTO FUTURO, PLAUSIBILI SPERANZE

 

Film Festival 2018 lascia inevasi molti quesiti.

Chi li risolverà? Ma soprattutto, da dove?

 

 

Freaks di Zach Lipovsky

 

        di Vincenzo Basile

 

Si è conclusa ieri, con la cerimonia di premiazione presso il Politeama Rossetti, la 18° edizione del Trieste Science+Fiction Film Festival.

20.000 sono stati gli spettatori che hanno preso parte alle proiezioni e ai più diversi eventi in programma.

 

 

Il Premio Asteroide, per il miglior film di fantascienza, horror e fantasy(riservato alle opere prime, seconde o terze di registi emergenti quest’anno) è andato al canadese “Freaks” di Zach Lipovsky e Adam Stein, un intenso thriller fantascientifico, denuncia della psicosi del diverso da individuare, perseguitare e annientare, a ogni latitudine. 

 

 

Await Further Instructions di Johnny Kevorkian

 

 

Menzione speciale all’opera “Await Further Instructions” di Johnny Kevorkian, primo film di genere “after Brexit”, incubo claustrofobico puntato sull’analisi sociale del recente cambiamento in atto in Europa.

 

 

Jonathan di Bill Oliver

 

Vince il Premio Méliès d’argent lungometraggi,il “Man Divided”,  opera prima di Max Kestner, già affermato documentarista, che usa il tema del Doppio e dei viaggi nel tempo, per affrontare le temibili criticità dei cambiamenti climatici sempre più incombenti.

IlPremio del Pubblico, è andato al film indubbiamente più amato dell’intera manifestazione. Grondante di calorosi, ripetuti, sentiti applausi, “Lajko Gipsy in Space” di Balazs Lengyel, rivela che nel 1957, quando l’Unione Sovietica concesse all’Ungheria l’onore di selezionare il primo cosmonauta da mandare nello spazio, la scelta cadde sul candidato più improbabile.

il primo essere vivente nello spazio non fu dunque la celebre cagnetta “sovietica” Lajka ma un giovane Rom, all’epoca pilota di biplani per l’irrigazione agricola: il Lajko del titolo appunto.

 

 

Lajko Gipsy in Space, di Balazs Lengyel

 

Abbiamo intervistato il regista durante il party di chiusura, ancora frastornato per l’imprevista, entusiastica accoglienza della sua opera.

 

VB: «Che effetto ti ha fatto l’impatto con il pubblico del Festival a fine proiezione? Te lo aspettavi?»

 

BL: «Sono abituato a partecipare ai festival, da qui andrò a Tallin e poi ritornerò a Varsavia. Ovviamente ogni pubblico è diverso ma quello che è sorprendente del pubblico italiano è l’accesa emotività. Anche in Polonia c’è un pubblico vivace ma non arriva mai all’intensità di quello italiano, con tutti questi applausi, fischi, emozioni vere. Per questo sono salito molto volentieri sul palco della premiazione e ho gioito nel  rimanerci, proprio per sentire questa sensazione e godermela il più possibile.»

 

VB: «Per il tuo film ti sei ispirato a qualche altra black comedy o modello di genere o allo stiledi qualche altro regista?»  

 

BL: «Be’, sì, in realtà mi sono un po’ ispirato al film “Il Testimone” (1969) di Péter Bacsó. Più che una commedia nera lo definirei pura satira, insomma sai, quel tipo di vibe (“atmosfera”).»

 

VB: «Il film ha già una distribuzione?»

 

BL: «Da alcuni mesi è in prima visione in Ungheria, ma è già distribuito all’estero. Polonia, Romania e Cina; ma la cosa più strana è stata la richiesta degli Emirati Arabi che lo hanno voluto per offrirlo in visione ai viaggiatori sui voli di linea delle loro compagnie aeree.»

 

VB: «Ci sono colleghi registi, in patria e fuori, che ammiri?»

 

BL: «Più di tutti Paolo Sorrentino per il suo modo amorevole di guardare ai personaggi e di rappresentarli.»

 

VB: «Cosa ti ha soddisfatto di più riguardo il suo impatto, non solo emotivo, sul pubblico e la critica?»

 

BL: «Ero convinto che i segmenti narrativi più divertenti sarebbero arrivati facilmente, mentre avevo forti dubbi che il pubblico potesse recepire la parti più tristi e malinconiche, come io le avevo pensate e proposte. Sia in Italia che in Polonia, però, ho avuto la netta sensazione che il pubblico abbia accolto esattamente ciò che volevo dire, il comico quanto il drammatico. E questo è stato gratificante per me.»

 

VB: «C’è qualcosa che non sei ancora riuscito a raccontare riguardo il making off del film?»

 

BL: «C’è una coincidenza curiosa che voglio rendere nota, anzi una serie di coincidenze: il protagonista del film è nato il 15 agosto, sua madre anche, ma anche mia figlia è nata il 15 agosto, due anni dopo che il film era stato scritto e consegnato, proprio il 15 agosto. Mi sembra molto curioso tutto questo, anzi incredibile!».

 

 

His Master’s Voice di Gyorgy Palfi

 

Uno spazio speciale merita, infine, la segnalazione di quello che in molti hanno valutato come il vincitore morale di questa edizione: “His Master’s Voice”di Gyorgy Palfi. Tratto dal un racconto cult di Stanislaw Lem, narra del viaggio di Peter alla ricerca del padre, che non ha più visto dopo la sua fuga dalla patria, dal regime e dalla famiglia, quando lui era ancora un bambino. L’incontro con la sua seconda, nuova famiglia provocherà in lui una serie di prese di coscienza proprio mentre il mondo apprende che è giunto sulla terra il messaggio di un intelligenza da un altro pianeta.

Il racconto è veicolato attraverso una assortimento di  innovazioni sia narrative che stilistiche che confermano la versatilità dell’autore di “Taxidermia”, personalità impossibile da racchiudere in un genere ma proprio per questo assai apprezzabile nella sua unicità artistica.

L’autore è impegnato a promuovere il film oltreoceano e per questo a Trieste,  in sua vece, era presente la montatrice del film Reka Lemhenyi. L’abbiamo intervistata.

 

VB: «Dati il numero e la complessità di livelli e strati espressivi del materiale girato, come si è dipanato il tuo rapporto con Palfi durante il montaggio?»

 

RL: «Io e Gyorgy siamo stati compagni di corso all’Accademia di Cinema di Budapest e insieme agli altri ex compagni di formazione abbiamo fatto 5 film insieme, collaborando sin dall’inizio. L’unico cambiamento l’ha apportato proprio quest’ultimo film, in cui ha lavorato il nuovo direttore della fotografia, Gergely Poharnok, lo stesso che poi ha girato l’ultimo film di Valeria Golino, “Euforia”. Il nostro è sempre stato un lavoro di gruppo durante il quale abbiamo praticato un brainstorming costante.

Per quanto riguarda il concept, lui di solito mi consegna il materiale senza fornirmi alcuna indicazione; sono io la prima che vede ed è lui che vuole sapere da me cosa ne penso e come intendo organizzare il montaggio. Sin dall’inizio discutiamo il da farsi e verifichiamo se tutto è organicamente predisposto o se c’è qualcosa che è stato trascurato. Comincio a montare quando il regista è ancora sul set, per cui posso accorgermi se ci sono dei buchi di sceneggiatura e se qualcosa manca e allora ci confrontiamo in modo che lui possa aggiungere o togliere materiale o se deve ancora girare altro. Palfi è un regista che ha un approccio molto sperimentale, ama cambiare l’estetica del film e la grammatica del linguaggio diversamente dai registi tradizionali che invece basano il lavoro soprattutto sulla storia. Il suo è un approccio molto visuale, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo.  

Da quando abbiamo finito di girare abbiamo cominciato a lavorare al montaggio tutti i giorni per un anno e mezzo! Ci siamo fermati solo due mesi perché era necessario lasciar sedimentare la metamorfosi che il film stava attraversando e per la quale cambiavano anche le nostre percezioni nei suoi confronti.

Difatti esistono diversi final cut e questo ci ha fatto prendere coscienza dei molti modi in cui potevamo esprimere le diverse prospettive della sua evoluzione. Sia riguardo al protagonista che gli altri personaggi.

Il film ha continuato a crescere fino a diventare un mostro contro il quale lottavamo. Insieme a noi, regista e montatrice, c’era anche la sceneggiatrice, con la quale abbiamo ricreato il film in fase di montaggio, non come tradizione e prassi vuole, quando tu ricevi il materiale e componi il film.

Questo è stato il metodo di lavoro.

Quando lui firma il contratto per un film, pretende una clausola che gli permetta che vi siano sempre quattro giorni durante o dopo il montaggio in cui lui deve poter filmare tutto ciò che gli serve.»

 

VB: «AdessoPalfi si trova a Tokyo. Hai qualche primizia da rivelare rispetto a quello che sta succedendo lì?»

 

RL: «I giapponesi adorano il film, perché tutto ciò che ha un forte impatto visivo, caleidoscopico. Li affascina»

 

VB: «Avete già organizzato una distribuzione?»

 

RL: «La prima sarà il 20 dicembre a Budapest, ai  Cinema  Corvin e probabilmente all’Urania; seguirà una diffusione internazionale in corso di definizione».