UN ROMANZO SFRANGIATO

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UN ROMANZO SFRANGIATO

 

 

 

       di Luciana Zollo

 

Zadie Smith, “Swing time”, Penguin Group, London, 2016; trad. it di Silvia Pareschi, Mondadori, 2017;

“Tiempos de swing” (trad. allo spagnolo di Eugenia Vasquez Nacarino), Salamandra, 2018

 

«La questione non è essere felici» – questa la dichiarazione di principio di Fern, uno dei personaggi più autorevoli del romanzo - «ma che la nostra vita abbia un senso». Tale prospettiva, capovolta rispetto al senso comune occidentale, funziona da cartina di tornasole per affrontare, nel corso di una doppia narrazione, quella dell’infanzia della protagonista e la sua avventura nel presente come assistente di una popstar di fama internazionale che finanzia il progetto di una scuola per bambine in Africa Centrale, i rapporti tra le razze, tra i sessi e tra le generazioni nell’ultimo mezzo secolo, a cavallo di tre continenti. 

 

 

 

 

Il bildungsroman della narratrice è il retroterra di esperienze da cui nascono i criteri (e i dubbi) con cui viene osservata criticamente la realizzazione di un’impresa umanitaria nel mondo globalizzato. L‘educazione delle bambine resta un punto fermo ideologico, presentata come necessità impellente ed una questione aperta tanto per la società pluriclassista e multirazziale occidentale quanto per quella africana, dove la tradizione è soggetta alle tentazioni dell’integralismo islamico. Alla ricerca dell’emancipazione e di una maggior giustizia civile e sociale, senza distinzioni etniche, economiche e geografiche, quali sono le vie da percorrere? Ogni personaggio, nel romanzo, è amico e nemico di sé stesso, mentre cerca incessantemente la propria strada, scontrandosi con barriere visibili ed invisibili. I paradossi non sono pochi: il mondo africano, “altro”, tribale, sconcertante, carico di una vitalità prorompente ed anarchica, ha spesso molto da insegnare alla cosiddetta società evoluta, europea o statunitense, che è poi quella del lettore.

 

 

 

Il romanzo sfida molti pericoli - facile moralismo, esotismo di consumo, screditamento a priori dei valori occidentali – e mantiene un equilibrio attraverso il rifiuto della protagonista di arrivare a delle conclusioni, dopo aver messo in luce i dolori della sua vicenda personale e i disinganni della sua generazione. Come conseguenza del rifiuto di definizioni ed inquadramenti da parte dell’autrice, chi legge si trova ad affrontare vicende e personaggi che potrebbero definirsi “sfrangiati”, ovvero privi di chiari e coerenti contorni. Così come “sfrangiato”, e dolorosamente commosso, e inspiegabile se non attraverso il linguaggio della musica, è il finale del romanzo. Nel corso del quale il successo, vera droga del nostro tempo, sembra divorare tutto e tutti. Quando qualcuno sembra mettersi in salvo, ciò avviene solo in parte, o è un miraggio. È invece chiara l’intenzione di demolire pregiudizi, con un ritmo implacabile e un procedimento a catena: i miti della liberazione (sessuale, femminile, razziale, civile) sono vagliati severamente e lo stesso continente africano, che può facilmente alimentare il sogno della speranzosa vitalità, sembra trovarsi davanti ad un cambiamento di regole del gioco nell’uso dei suoi strumenti di emancipazione e di storie personali e situazioni sociali, nonché nell’intrico delle sue emergenze e contraddizioni attuali, l’Africa appare come il contesto socio-culturale “sfrangiato” per eccellenza.

 

 

 

Il ruolo centrale della musica è enunciato nel titolo, che fa riferimento ad un classico del musical cinematografico, grazie al quale la danza è un archetipo vitale che resiste a tutti i colpi della realtà e del tempo. Le ampie digressioni musicali e le descrizioni di mode e stili di vita fanno da coreografia a una miriade di piccole vicende individuali, di cui molte autonome e tutte preziose. A personaggi giganteschi, come la popstar le cui dimensioni sembrano eccedere i confini propri di un romanzo, o l’amica della protagonista, Tracy, che nel rincorrere il proprio vertiginoso destino sfugge irrimediabilmente ad ogni catalogazione, o spiegazione, possibile, si affiancano piccoli ritratti che brillano come gioielli in mezzo al magma opaco della ricerca esistenziale della protagonista nel periodo, gli anni ’80, che coincide appunto con gli inizi della cosiddetta globalizzazione.

 

 

 

L’Africa, prima di diventare lo scenario vivo di una buona sezione delle vicende narrate, illumina anche la prima parte del romanzo, centrata sull’infanzia delle due amiche in un sobborgo di Londra, attraverso la coraggiosa presa di coscienza della madre della protagonista e l’ostinata conflittualità tra persone, gruppi e culture diversi, destinati ad una sostanziale incomprensione al di fuori del comune istinto di lotta per la sopravvivenza. L’identità, ed il suo corrispettivo, l’alterità, funzionano come un richiamo onnipresente, quasi uno spettro di cui è impossibile liberarsi ma anche nume tutelare da invocare nei momenti difficili: essere sé stessi ma anche, in determinate circostanze, l’”altro” aiuta a non rimanere intrappolati, a poter trovare sempre una via d’uscita, o semplicemente a poter proseguire.

 

 

 

Proprio perché nel romanzo domina la complessità degli ultimi trent’anni della nostra storia recente, anche per definire il suo andamento il termine che trovo più adatto è “sfrangiato”. Ogni situazione o scena si ramifica in molte direzioni diverse, ogni personaggio è inesauribile nelle sue potenzialità, mostrate o suggerite, ogni domanda resta aperta a molteplici, e spesso contraddittorie, risposte tanto da venire in molti casi formulata come volutamente fine a sé stessa.

Alla lapidaria chiarezza di alcune riflessioni, o meglio ancora, rivelazioni, che sono frutto di ragionamento, spesso dialogato, corrispondono pagine di grande libertà narrativa, che registrano emozioni e riflessioni ricorrendo all’ironia, ad immagini fantasiose, a cambiamenti di tono e di registro. La narrazione procede per blocchi disomogenei, si sofferma e poi s’impenna, sottraendosi ad una vera e propria organizzazione, quasi a dispetto della numerazione dei capitoli. Il risultato è un vasto affresco di caratteri e di storie, dai toni decisi e dalle voci forti, ma dai contorni aperti, dunque anch’essi “sfrangiati”.

 

 

 

Non vi è cornice possibile per tanta varietà e complessità, per i mutamenti di prospettiva, per le dichiarazioni di impotenza di fronte all'inspiegabile. Sono infinite le propaggini delle ipotesi di interpretazione per un universo in continuo movimento, per esseri in vitale mutazione, per vicende che seguono un ritmo senza sosta. Del resto, la musica, l’amore e il dolore difficilmente hanno contorni tracciabili ed evidenti. Ecco che dunque il fascino di questo romanzo risiede nella sua sfrangiatura, nonché nella sua permeabilità: spesso il lettore è indotto a passare dall'altra parte della pagina, a entrare e ritrovarsi in qualche scena, in qualche situazione, in molti dei dubbi e degli smarrimenti della coscienza narrante. O forse, a lasciarsi prendere dal vortice dell’ebbrezza musicale che il titolo giustamente suggerisce.