LA CREATIVITÀ DI NILDE

LA CREATIVITÀ DI NILDE

 

 

 

di Ivan Battista

 

Nella visione religiosa è la divinità che crea l’universo mondo. In verità, la maggior parte delle cose che fondano la nostra realtà e il nostro ambiente di vita è creato dall'essere umano. Proviamo a considerare tutto ciò che ci circonda. Ci accorgeremo che molti aspetti della realtà sono dovuti all'impegno del lavoro e della creatività dell’individuo. L’essere umano possiamo definirlo, allora, un essere creativo che ha la capacità di immettere, con la sua inventiva, nell'esistenza propria e in quella collettiva, qualcosa di inedito. 

 

L’arte della pittura nei secoli trascorsi è quasi del tutto stata appannaggio del genere maschile. È Plinio il vecchio nella sua poderosa opera enciclopedica Naturalis historia (libro xxxv, verso147) a tramandarci alcuni nomi di pittrici dell’antichità: Timarete, Kalypso, Aristarete, Iaia e Olympas. Le donne, con ogni probabilità, sono sempre state presenti nello scacchiere della cultura artistica e pittorica della storia, seppure con poca o quasi nulla “visibilità”. A parziale discolpa c’è da dire che nei secoli andati, per tutto il medio evo fino a giungere al rinascimento, il pittore era considerato niente altro che un artigiano più o meno valido che non firmava le sue opere. È col rinascimento che i pittori più affermati cominciano a firmare i loro quadri o a lasciare in essi presenze inconfutabili che attestano la paternità della loro opera. Oltre Sandro Botticelli, Raffaello Sanzio, Pietro Paolo Rubens, Albrecht Dürer anche le pittrici davvero talentuose escono allo scoperto: dalla caravaggesca Artemisia Gentileschi alla ritrattista reale Elizabeth Vigée Lebrun, da Sofonisba Anguissola a Tamara De Lempicka, da Rosalba Carriera a Frida Kahlo passando per l’impressionista Berthe Morisot, la loro bravura lascia il segno nella storia dell’arte mondiale.

 

 

 

Incontro l’opera pittorica di Leonilde Russo nel mio consueto girovagare in cerca di emozioni artistiche. La prima impressione che ricevo osservando i suoi dipinti è di calma e serenità. Mi addentro, allora, e scruto con più attenzione e mi accorgo anche della compostezza che caratterizza i suoi soggetti siano essi religiosi (il volto di una madonna o quello di un Gesù deposto) siano essi più “laici” (il caro estinto o alcuni paesaggi). Nilde si ispira spesso al passato, ad autori rinascimentali e classici che ritraevano storie e personaggi della cultura religiosa cristiana, ma riesce a conferire al tratto con cui dipinge le sue figure religiose qualcosa di nuovo, oserei dire più smagliante.

 

 

Anche quando si ripropone un qualsiasi tema, purché rielaborato a livello personale, si può comprovare la propria capacità di acume e la propria matura sensibilità. Allora, in questa promenade pittorica incontro scorci e configurazioni colme di richiami e citazioni colte dell’arte figurativa, da Leonardo a Raffaello, da Ligabue a Giorgio De Chirico. La tavolozza, i colori e i pennelli sono come il computer, per quanto di qualità eccellente e performanti se non metti a loro disposizione il tuo miglior talento creativo essi ti daranno indietro esattamente ciò che sei stato in grado di fornire. Di talento creativo Nilde Russo ne ha in abbondanza, basta osservare la grazia amorevole delle sue linee e la sorprendente abilità nel formare e nel dare il colore.

 

 

 

Platone, in molte sue opere quali Fedro, Simposio, Timeo e Repubblica, ci fa comprendere quanto sia importante che l’artista (nel suo caso il poeta) sia in grado di farsi invadere dal suo daimon interiore per esprimere, quasi in stato di trance, tutta la sua potenza comunicativa.  Questo essere semidivino, di cui ognuno è dotato, fa da tramite tra il Nume e l’uomoe aiuta l’individuo nel suo percorso terreno (per la precisione, negli scritti platonici, anche in quello ultraterreno). Più modernamente, diremo che ogni essere umano possiede una sua struttura psicofisica e psicoattitudinale in grado di realizzare la chiamata del suo daimon sulla terra, quindi il suo particolare destino. L’impressione che si ha nel guardare i dipinti di Nilde è quella di un artista che è stata capace di “liberare” il suo genio più intimo senza timore alcuno e, anzi, con una consapevole quiete in grado d’integrarsi appieno all’inevitabile tumulto della spinta generativa del proprio estro. 

 

 

 

La sofferenza, dicono, è un piano inclinato verso la crescita. Io sarei più preciso e aggiungerei che la sofferenza va capita ed integrata, altrimenti rischia di farci diventare persone indurite, ciniche e peggiori di quello che potremmo essere. Dunque, la caratteristica di chi riesce ad integrare la sofferenza è la capacità di costruire ogni giorno qualcosa di nuovo. La fede, per chi ha la fortuna di averla, è una risorsa in grado di accompagnare, con grande supporto, lungo il cammino di questa realizzazione. Non si tratta di muoversi in modo conformistico e “liturgico”, ma di creare un opus del tutto personale, che dica molto di noi e sia inconfondibile e originale. Questa opera sarà il prodotto dell’individualità del proprio essere. La risposta di fede è un modo adeguato di considerare le domande originarie e questo riscontro sarà essenziale perché è sollecitato da un bisogno interiore. Se esiste l’anima, ebbene essa è caratterizzata da progressività.

 

 

 

Nei dipinti di Nilde Russo, un animo sensibile, non necessariamente esperto d’arte, rintraccia presto la forza portentosa ed incrollabile della sua fede. Una forza non violenta, pacifica, ma prodigiosa, in grado di scuotere fin nel profondo della psiche. Il volto calmo e docile del Cristo inclinato sulla spalla nella “rilassatezza” della morte non ha nulla a che veder col quadro di Hans Holbein il giovane, citato nel romanzo L’idiota di Dostoevskij. Qui si vede, senza mezzi termini, un giovane uomo seviziato dalla tortura e martoriato dalla sofferenza patita col supplizio della croce, in più inserito in un loculo il cui soffitto è vicinissimo al volto, quasi a sottolineare l’assenza dello slancio verso l’alto, la mancanza di ogni speranza e l’annullamento di ogni “spiritualità”.

“– Mi piace guardare quel quadro, – mormorò, dopo un po’ di silenzio, Rogožin (…).

 – Quel quadro! – esclamò il principe (Myškin, “l’idiota” nel romanzo del grande scrittore russo, che poi idiota non era affatto, n.d.a.) colpito da un pensiero subitaneo: – quel quadro! Ma quel quadro a più d’uno potrebbe far perdere la fede!”.

  

 

 

Nella maniera esattamente opposta, ardirei dire che il bel dipinto del volto di Gesù di Nilde la fede potrebbe farla venire a “più d’uno”.

 

 

 

Come nella promenade “musicale” dei quadri per un’esposizione del compositore Modesto Benedetto Mussorgsky, continuo ad avanzare districandomi tra le emozioni a volte tenui a volte forti che le immagini dell’opera di Leonilde Russo suscitano. Allora, incontro un altro volto: quello di una madonna di una “bellezza” sconcertante. Si sa che l’archetipo più diffuso al mondo è quello della grande madre. In ogni cultura, in ogni tempo il femminile divinizzato è presente. Ora, l’archetipo è struttura strutturante che, nella cultura di riferimento, si declina in immagine archetipica. Troveremo, quindi, la divinizzazione di Demetra o delle dee vergini e intoccabili Atena e Artemide nella cultura greca antica, di Ishtar in Mesopotamia, di Iside in medio oriente, di Freya nei territori del nord Europa e della Vergine Maria nella cultura religiosa cristiana. Tutte queste divinità posseggono caratteristiche nucleari identiche, dalla Kalokagathia greca, alla presenza salvifica di Ishtar, Iside e Freya, alla forza di redenzione e di protezione di Maria vergine. Nel momento in cui si coniugano nei loro aspetti culturali precipui assumono “caratteristiche” particolari di immagine archetipica. Ferme restando le loro qualità comuni: la verginità, l’intoccabilità, la capacità d’intercessione per la salvezza, la loro dimensione celeste, troveremo diverse la foggia dei vestiti, l’acconciatura dei capelli, le aureole: in una parola il loro aspetto.  Il volto di Maria del quadro di Nilde, nella sua espressione dolce e serena, col velo celeste appoggiato sul capo, riassume meravigliosamente tutte queste qualità e queste peculiarità. Si resta catturati dal suo aspetto, dall’apertura divina del suo sguardo soave e trasparente.

 

 

 

Il quadro che personalmente mi colpisce di più, però, è Il caro estinto. La tela rappresenta una minuta donna anziana, vestita con indumenti tipici paesani e col grembiule da cucina. La signora si sporge a baciare la locandina funeraria del proprio marito deceduto da poco tempo, incollata ad un muro costruito ad opera incerta. Il capo bianco con la fronte appoggiata sul manifesto, il corpo racchiuso e inclinato in avanti, le braccia strette all’altezza del volto che toccano asimmetricamente il foglio attaccato al muro in una sorta di leggero, ma commovente inchino. È una scena che tocca l’anima perché semplice e al contempo dirompente, portatrice inequivocabile di un sentimento forte come l’amore puro e sincero, quello di bianco vestito, che sa andare oltre la morte e che durerà nel cuore nobile di una donna finché la sua memoria lo potrà ricordare.

Non resta che ringraziare anche questa volta la delicata creatività di una donna: Leonilde Russo e le opere pittoriche che le sue accurate mani d’artista sono riuscite ad esprimere. Alcuni dicono che l’arte è la sublimazione di pulsioni profonde illecite e indecorose. Io credo che nel caso di Nilde, invece, siano l’espressione di un atto di coraggio che l’ha portata a vincere di nuovo l’amore e ancora la vita. Sì, perché è con un atto di coraggio che si vincono l’amore e la vita.