A JUTA DEI FEMMINIELLI A MONTEVERGINE

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A JUTA DEI FEMMINIELLI A MONTEVERGINE

 

 

 

        fotografia di Enzo Rando

        articolo di Francesco Frigione

 

        Nell’antichità romana erano i coribanti, devoti dell’anatolica dea Cibele, che, vestiti di abiti femminili dagli sgargianti colori, si castravano sul Monte Partenio nel Dies sanguinis. Il rito si collegava al mito dell’evirazione, avvenuta per mano di Dioniso, del violento ermafrodito Agdistis, figlio dell’insoddisfatto desiderio di Zeus.

       Secondo il racconto, il sangue della vittima aveva irrorato un melograno, che a sua volta aveva ingravidato la ninfa fluviale Sangario. Da questo connubio era nato il grande amore di Cibele, il bellissimo Attis.

 

 

 

 

L’evirazione veniva dunque offerta, nel lontano passato, in dono alla Grande Madre della distruzione e della rigenerazione della natura in un tempio sulle cui rovine dal Medio Evo sorge la Chiesa della Madonna nera.

La foto di Enzo Rando è stata scattata il 2 febbraio scorso e coglie un momento della processione che culmina, appunto, nella Chiesa di Montevergine, in provincia di Avellino, sacrario dedicato alla Vergine, soprannominata dagli adepti “Mamma Schiavona” ed eletta sin dal 1300 a protettrice degli omosessuali.

Anche in questo caso alla base del culto si pone un racconto leggendario, che narra di come la Madonna avesse salvato due giovani accusati di “sodomia” e per questo legati a un albero per farli morire di stenti e delle aggressioni delle fiere.

Con il tempo, la Festa della Candelora (che solo dopo il Concilio Vaticano II è stata riconosciuta dalla Chiesa Cattolica come celebrazione della luce spirituale di Cristo, manifesta al momento della presentazione al Tempio di Gesù, ma che precedentemente era definita quale “Festa della purificazione della Vergine“) è divenuta sempre più una grande occasione di autocelebrazione non solo di gioioso erotismo ma di dignità sociale e politica dei cosiddetti “femminielli” e della comunità TLGB