INNAMORARSI SECONDO LA SZYMBORSKA

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INNAMORARSI SECONDO LA SZYMBORSKA

 

 

Particolare della Nascita di Venere

(Sandro Botticelli, 1482-1485 circa - Firenze, Palazzo degli Uffizi)

 

        di Francesco Frigione

 

        Il vero poeta sa dimenticare. Ha letto, studiato, appreso, ma, per nulla appesantito da questo bagaglio, abbandona il superfluo e scava nei sensi, dando vita a nuovi discorsi e a simboli vivi.

        Si serve di lessico e concetti con la stessa libertà con la quale gli architetti delle cattedrali gotiche adoperavano la pietra: esaltandone la potenza attraverso il vuoto, giocando con l’aria che la attraversa e la luce che la inquadra.

 

 

 

Beauvais, la Cathédrale Saint-Pierre, progettata dall’architetto Martin Chambiges (1225 – 1605)

 

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Wisława Szymborska nel 2010

 

        Una delle maggiori poetesse del Novecento è stata la polacca Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923Cracovia, 1° febbraio 2012), Premio Nobel per la Letteratura 1996. Il suo stile è piano e terso, frutto di un lavoro di cesello che alleggerisce lo spessore del discorso; il tono ironico, sottile, delicato, la brevità dei i componimenti, inducono il lettore alla più raffinata riflessione sui sentimenti e la storia. Riescono nell’intento senza mai aggredirlo, senza sfibrarlo. L’arte della Szymborska è pietosa, dolce, calibrata, affinché il dolore risulti accettabile, non eccessivo e traumatico, e in tal modo evitare che il suo lettore fugga emotivamente e finalmente si confronti con la realtà.

Nell’alchimia della dimensione poetica, allora, ogni dettaglio, ogni accadimento, ogni vicenda diventa preziosa materia universale, opportunità di elevazione che si nutre dei successi e dalle sconfitte, dagli entusiasmi e dalle disillusioni dell’Autrice stessa, che, protagonista e testimone, ci conduce per mano ai problemi, agli interrogativi e ai misteri della vita.

 

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La nascita di Venere (William Adolphe Bouguereau, 1879 - Parigi, Musée d'Orsay)

 

        Tra gli splendidi componimenti della Szymborska dedicati all’amore ve n’è uno del 1962, Accanto a un bicchiere di vino[i], che ribalta il punto di vista della psicologia sull’innamoramento.

 

Con uno sguardo mi ha reso più bella,

e io questa bellezza l’ho fatta mia.

Felice, ho inghiottito una stella.

 

Ho lasciato che mi immaginasse

A somiglianza del mio riflesso

nei suoi occhi. Io ballo, io ballo

nel battito di ali improvvise.

 

Il tavolo è tavolo, il vino è vino

nel bicchiere che è un bicchiere

e sta lì dritto sul tavolo.

Io invece sono immaginaria,

incredibilmente immaginaria,

immaginaria fino al midollo.

 

Gli parlo di tutto ciò che vuole:

delle formiche morenti d’amore

sotto la costellazione del soffione.

Gli giuro che una rosa bianca,

se viene spruzzata di vino, canta.

 

Mi metto a ridere, inclino il capo

con prudenza, come per controllare

un’invenzione. E ballo, ballo

nella pelle stupita, nell’abbraccio

che mi crea.

Eva dalla costola. Venere dall’onda,

Minerva dalla testa di Giove

Erano più reali.

 

Quando lui non mi guarda,

cerco la mia immagine

sul muro. E vedo solo

un chiodo, senza il quadro.

 


Minerva (Achille Funi, 1940 - Milano, Collezione d'arte della Fondazione Cariplo)

 

La lirica non si concentra, infatti, sul sacrificio dell’Io dell’amante al servizio dell’amata idealizzata (o viceversa)– il che risponderebbe alla classica lettura freudiana, in cui l’amato/a prende il posto dell’Ideale dell’Io (S. Freud, 1920) -, ma descrive il godimento e il pathos che derivano all’amata dal prestarsi al fervore idealizzante dell’amato.

 

 

Sigmund Freud

 

L’innamorata, qui, si fonde con l’innamorato, alla ricerca dello sguardo che la falsifichi, che la annulli per elevarla a idealità archetipica, trasformandosi intenzionalmente in mito.

La mistificazione dunque non è subita, ma cercata [«Ho lasciato che mi immaginasse / a somiglianza del mio riflesso / nei suoi occhi.»].

Nel duetto dell’amore nascente, la protagonista prima si ascrive un enorme potere suggestivo sull’uomo che le sta di fronte e, poi, consegna al suo sguardo un potere ancora maggiore: quello di determinarne l’intera identità.

 

 

Tentazione di Adamo ed Eva (Masolino da Panicale,1424-1425 circa - Firenze, Santa Maria del Carmine - Cappella Brancacci)

 

Si lascia plasmare per coincidere con le figure immaginarie che più seducono lui, consapevole di attirare su di sé quelle profonde forze da cui l’altro è inconsapevolmente mosso [«Eva dalla costola, Venere dall’onda, / Minerva dalla testa di Giove / erano più reali»].

Assecondando e quasi guidando l’accumulo di fantasie archetipiche  proiettate su di lei dall’innamorato, l’innamorata, a sua volta, s’inflaziona psichicamente, (Jung): vibra dei contenuti inconsci dell’Anima collettiva [Io invece sono immaginaria, / incredibilmente immaginaria, / immaginaria fino al midollo.»] e concentra tali contenuti in lei fino ad oscurare attraverso di sé la realtà [Felice, ho inghiottito una stella.]. La dimensione psichica col suo accecante barbaglio diventa così l’assoluta padrona del campo di gioco degli amanti.

 

 

Carl Gustav Jung

 

Questa operazione di sequestro della dimensione archetipica e cosmica dell’amore conduce, però, nel finale, a un crudo risveglio [Quando lui non mi guarda, / cerco la mia immagine / sul muro. E vedo solo / un chiodo, senza il quadro.]: la protagonista che, all’apparenza sedotta, dunque interpretava il dissimulato ruolo di seduttrice, si ritrova scaraventata nella condizione ora non più fittizia di vera sedotta; scopre che l’ebbrezza e l’estasi cessano senza lo sguardo idealizzante di lui, in mancanza di ciò che la sublima e la eternizza, che rende divino e immortale il suo essere fragile e caduco [Con uno sguardo mi ha reso più bella, / e io questa bellezza l’ho fatta mia].

In ultimo, cioè, emerge la percezione del vuoto che sta alla base della condizione dell’essere umano e la presa di coscienza di come l’illusione d’amore da una parte salvi dalla brutalità mortificante del Reale, che aleggia come una minaccia costante sul nostro cuore, dall’altro non faccia che rivelarci l’onnipervasività dell’assenza nella nostra esistenza.

 

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Notte d'estate: Inger sulla spiaggia (Edvard Munch,1889 - Museo d'arte di Bergen)

 

Le emozioni che permeano questo discorso poetico sono, dunque, su un versante la gioia, l’ebbrezza e l’entusiasmo, e su quello opposto l’angoscia, il panico e la tristezza. Parallelamente, le sensazioni oscillano dalla pienezza generata dall’ascesa a una totalità immaginaria e di ardente creatività immaginifica [Gli parlo di tutto ciò che vuole: / delle formiche morenti d’amore / sotto la costellazione del soffione. / Gli giuro che una rosa bianca, / se viene spruzzata di vino, canta.] alla opposta e brutale reificazione dell’essere, lo smarrimento per la perdita di senso e d’identità [un chiodo, senza il quadro.].

Con i suoi versi, la Szymborska ci rivela, soprattutto, il ruolo poderosamente attivo di chi si propone come contenitore delle fantasie dell’altro. Notiamo infatti che è lei, la narratrice, a farsi sempre più generare dal Verbo di lui; a trasformarsi nella carne del suo corpo ideale; è lei a insinuarsi, come un segreto innesto, in un filone mitologico, a tramutarsi in mito di miti, in un riflesso che contiene tutti gli altri come un aleph.

In questo gioco allettante, il soggetto si lascia sedurre dall’altro, solo per catturarlo a sua volta e dirigerlo verso l’idealizzazione del proprio Sé, ovvero alla disumanizzazione personale, nell’aspirazione erotica in cui ripostamente risiede la propria divina umanità. Si tratta del punto d’incontro, labile, estemporaneo e sincronistico (C. G. Jung, 1950), tra i mondi fisico, psichico e spirituale.

I gesti, gli occhi, le parole, i silenzi, servono da viatico all’eternità, da soglia che conduce dalla minuscola e contingente  vicenda individuale alla vita archetipica dell’immaginario collettivo. Si tratta di stabilire un’alleanza istantanea, intuitiva, per procedere all’uscita dagli aspetti più opprimenti della Società e dalla Storia per rientrarvi dalla porta principale e con i maggiori onori, quelli riservati alle figure perenni e impersonali: alle divinità, alle forze e ai processi che attraversano il tempo e lo spazio del microcosmo e del macrocosmo.

 

 

 

Psiche alata [da originale ellenistico (Niobide ferita) - Tivoli, Villa d'Este]

 

La protagonista percorre, perciò, tutta la scala degli opposti: monta rapidamente a un apice puramente psichico (una farfalla), dove risuonano i temi collettivi dell’Anima umana, che l’amante le riversa addosso intorno al tavolo e al bicchiere di vino. Questi stessi paiono reali, ma sono – a loro volta - ulteriori espressioni del mito (evocano la potenza fusionale, accomunante ed ubriacante di Dioniso).

 

 

Bacco (Caravaggio, 1596-1597 - Firenze, Galleria degli Uffizi)

 

Delle sinfonie suonate da questi spartiti archetipici lei esegue, tenace, leggera e obbediente, i passi di danza (Ho lasciato che mi immaginasse / A somiglianza del mio riflesso / nei suoi occhi. Io ballo, io ballo / nel battito di ali improvvise.).

 

 

Il giorno dopo (Edvard Munch, 1894–95 - Francoforte, Städel Art Museum)

 

Ma una volta raggiunto l’acme dell’entusiasmo erotico, si schiude lo spazio dell’Ombra della dimensione amorosa: la caduta nel Reale. Lì regnano il sentimento della perdita, il dolore dell’assenza.

 

 

Amy Winehouse

 

In amore, d’altronde, tutti perdono, “L’amore è un gioco a perdere, Love is a losing game”, come diceva una splendida canzone di Amy Winehouse (https://youtu.be/nMO5Ko_77Hk)[ii]: è amando, infatti, che impariamo come perdere e perderci ci renda radicalmente umani.

 



[i]Wisława Szymborska, Accanto a un bicchiere di vino, in La gioia di scrivere - tutte le poesie (1945-2009), a cura di Pietro Marchesani – P. 141, Adelphi, Milano, 2009.

 

[i][i] Testo diLove is Losing game

(compositrice: Amy Winehouse)

Love Is a Losing Game © Sony/ATV Music Publishing LLC

 

For you I was the flame
Love is a losing game
Five story fire as you came
Love is losing game

One I wished, I never played
Oh, what a mess we made
And now the final frame
Love is a losing game

Played out by the band
Love is a losing hand
More than I could stand
Love is a losing hand

Self-professed profound
Till the chips were down
Know you're a gambling man
Love is a losing hand

Though I battled blind
Love is a fate resigned
Memories mar my mind
Love is a fate resigned

Over futile odds
And laughed at by the gods
And now the final frame
Love is a losing game