LA COZZA DI LALLO

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LE GESTA FILOSOFICHE DI LALLO DE BONIS

  

 

LA COZZA DI LALLO

 

Cozza pelosa di Taranto [www.gentedelfud.it]

 

        di Ugo Derantolis

 

«Contrapporre alla conoscenza distinta e compiuta, o alla conoscenza che sta cercando ed esigendo il proprio compimento, questa razza di sapere, che cioè nell’Assoluto tutto è uguale, – oppure gabellare un suo Assoluto per la notte nella quale, come si suol dire, tutte le vacche sono nere, tutto ciò è l’ingenuità di una conoscenza fatua.»

Georg Friedrich Wilhelm Hegel, Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito

 

 

Amanuense

 

        Torno a svolgere il mio umile compito di amanuense dell’insegnamento dell’abissale Lallo De Bonis, narrandovi di quando, sulle calde rive del Mar Ionio, Corpo, Anima e Spirito intrecciarono come mai la loro intima essenza.

                                                                              U. D.

 

 

 «La cozza pelosa tarantina non è una cozza!». La stentorea dichiarazione sul mitile fu espressa da un De Bonis accigliatissimo.

 

 

Il Castello Aragonese di Taranto visto dal lungomare

 

Godevamo in quel momento di una meritoria pausa dai lavori su "Il senso dell'arte in filosofia; la filosofia dei sensi nell'arte; l'arte dei sensi in filosofia; la filosofia dell'arte nei sensi", un convegno meticolosamente organizzato da una casa editrice pugliese presso il Castello Aragonese di Taranto.

 

 

Convegno al Castello Aragonese di Taranto [www.pugliapress.org]

 

Lallo aveva urlato la sua affermazione nel bel mezzo di una conversazione informale, imbastita con gli altri relatori intorno a pasticcini e caffè. A quel punto, i colleghi e il pubblico tacquero attoniti e lo seguirono con gli sguardi, mentre, torvo e corrucciato, abbandonava la sala.

In molti si chiesero cosa mai spingesse quel filosofo mite e laconico ad adirarsi per un oggetto tanto avulso dal dibattito. Purtroppo, ci fu chi ne approfittò per farsi beffe di De Bonis, mormorando che «gli aveva dato di volta il cervello».

Qualche spirito volgare soggiunse che «doveva aver mal digerito l’impepata» e amenità del genere.

 

 

Piatto di cozze con polipo e limone

 

Ma chi come me ben sapeva che le uscite più assurde di Lallo schiudevano vertiginose verità, iniziarono a meditare sull’enigma della "cozza pelosa che è (e, allo stesso tempo, non è) una cozza".

Avvicinatomi al gruppetto di conferenzieri, ne stimolai la riflessione: «Che ne dite?», domandai ansioso.

A onor del vero, questi, pur tenendo in gran considerazione il Maestro, parevano così perplessi da non riuscire a formulare ipotesi adeguate.

Per giunta, uno di loro, un cattedratico d’immeritata fama, mi rispose sprezzante: «Perché c’è qualcosa da dire?». Avvampai meditando vendetta. Una vendetta dialettica, s'intende. Quel pallone gonfiato, che lucrava prebende e notorietà divulgando riassuntini dei grandi pensatori germanici del secolo scorso, osava dileggiare il genio di Lallo? Il commento gli andava ricacciato in gola!

 

“Luce ed ombra” (immagine zen)

 

A placare gli animi intervenne, però, una saggia pensatrice siciliana che osservò: «Non dimentichiamoci che De Bonis è solito comunicare in uno stile zen basato sul paradosso ...».

«È esattamente così!», le detti subito manforte io. E aggiunsi: «Non possiamo rapportarci superficialmente alle affermazioni di Lallo! Dobbiamo interpretarle riferendole al contesto. Solo così potremo scoprirne il significato riposto ».

 

 

Allegoria zen (scultura)

 

Le teste del gruppetto di filosofi assentirono unanimi, intrigate oramai dalla sfida intellettuale lanciatagli da Lallo.

Solo il vile soggetto di poc’anzi riluttava a misurarsi con l'impresa e ci apostrofò con un offensivo: «Allora voi siete più matti di lui!».

Pensava di screditarci, forse? Stolto! Ignorava che il sacro fuoco della conoscenza - che solo De Bonis sa accendere in questi tempi di degrado intellettuale - rende sì folli, ma folli per la voluttà di un sapere perduto, un sapere che illumina la coscienza di chiarore iperuranio.

 

 

La Scuola di Atene (Raffaello Sanzio - affresco 1509-1511 - Roma, Musei Vaticani)

 

Accadde così che il programma fosse sconvolto dall'urgenza di promuovere un dibattito sulla frase di Lallo.

S’incominciò col respingere l'opposizione dell'accademico, che insisteva per attenersi alla scaletta degli interventi. Dopodiché avvampò una contesa che, data l’alta posta in gioco, rischiò persino di tramutarsi in litigio. Eppure la disputa, come per miracolo, non trascese mai le sane regole civili e restituì alla prassi filosofica tutta la freschezza smarrita in secoli di arcigna seriosità.

D'un tratto - miracolo del Verbo fecondatore debonisiano - Taranto ritrovò la sua antica anima greca e il convegno sospinse lo Spirito alla più pura delle manifestazioni.

 

 

Le Grotte di Castellana, nelle Murge (Bari)

 

Gli astanti elettrizzati videro il pensiero rifulgere grazie allo sforzo congiunto delle migliori menti speculative d'Europa. I concetti irruppero, aprendo la strada ai loro opposti; gli opposti, dal canto loro, cedettero il terreno alle proprie sintesi, e queste si coagularono in un tripudio di stalattiti e stalagmiti ideali, producendo un’epifania, una Castellana dello conoscenza ...

 

 

Uccello in volo nella notte (illustrazione)

 

Esausti, i conferenzieri giunsero infine a conclusioni inoppugnabili.

  • La prima fu che De Bonis aveva impresso il suo suggello all'incontro ai margini del dibattito su estetica, fenomenologia e verità. In tal modo, egli sottolineava che la Verità Assoluta emerge sempre e soltanto fuori dalla cornice prestabilita. Semmai, si profila sulla soglia della Coscienza e trapela dalla penombra, simile a un sogno.

 

 

Sibilla Cumana (Giovanni di Stefano, 1482 – Tarsie del pavimento del Duomo di Siena)

 

La seconda conclusione del consesso si concentrò, invece, sullo stile dell'affermazione di De Bonis: sibillino, sintetico, ambiguo e suggestivo, veicolava un senso eccedente. E il senso andava sfilato poco a poco, scrostato strato dopo strato, stillato goccia a goccia.

La terza conclusione entrò, invece, nel merito dell’ominoso dettato debonisiano: «La cozza pelosa tarantina non è una cozza!».

 

 

Cozze attaccate allo scoglio

 

Questo portava alla ribalta la "cozza": un organismo naturale, ma, allo stesso tempo, allevato dall'uomo. Si trattava, senza dubbio, di un concetto-limite, relativo a un essere vivente sì, ma quasi immobile, aggrappato tenacemente a uno scoglio o al suo bisso, e che, da essi si può staccare solo con fatica, con strumenti affilati, taglienti come le menti dei filosofi.

 

 

Coltello sub Shark M [www.ingmarine.com]

 

In ultimo, la “cozza”, finalmente sottratta alle gelose profondità marine: essa precipita nel piatto dei sensi, dove viene gustata e “introiettata”, alimentando l'anima avida di contenuti.

 

 

Piatto di spaghetti con le cozze

 

E fin qua, si era analizzata la cozza "sub specie aeternitatis", come universale.

Quegli acuti cervelli non potevano ignorare, però, che l’enunciato di Lallo li sfidava a eseguire un doppio salto mortale. De Bonis, infatti, aveva chiaramente nominato la "cozza pelosa tarantina", fornendo, in tal modo, un riferimento estremamente circostanziato. E il vigore con cui aveva urlato a tutti il suo messaggio rappresentava un’ energica esortazione a prenderne contezza.

 

 

Cozze pelose tarantine ed anemoni di mare

 

Il significato che gli studiosi gli attribuirono ci parve, da subito, indubitabile: "Non cercare in altri mari le tue cozze” - intendendo con esse i frutti più preziosi che la saggezza può donare. "Sbagli se credi di trovare in un remoto altrove il tuo nutrimento. Pesca qui e ora, invece, la tua cozza; poco importa se navighi in un Mare Piccolo o in un Mare Grande. Imprescindibile è solo ghermire ciò che sta a portata di mano! "Carpe diem!".

 

 

Taranto – veduta aerea dei due bacini del Mare Piccolo e del Mare Grande

 

Citando la "cozza pelosa", inoltre, il vate partenopeo intendeva evidenziare l’essenza sublime dell’oggetto penetrato nella Coscienza, poiché il mitile in questione appartiene all'aristocrazia della tradizione ittica tarantina.

 

Pesci e molluschi (antico mosaico romano) 

 

Ma, a questo punto - tutti si interrogarono - perché affermare che «la cozza pelosa tarantina NON è una cozza»?

Restando in tema marino, devo dire che questo fu lo scoglio più impervio di quello storico pomeriggio, tanto che, dopo averci ripetutamente sbattuto contro, numerosi studiosi sembrarono voler gettare la spugna.

Ogni tentativo di soluzione del problema, infatti, veniva puntualmente affossato dalle obiezioni degli altri pensatori, tanto che i reiterati fallimenti rimisero sciaguratamente in gioco lo pseudo-luminare, adesso più che mai prodigo di sarcasmi.

 

 

Il naufragio dell'Arethusa (Carlos Wood, 1826 - Santiago del Chile, Museo Nacional de Bellas Artes)

 

Mi sentivo già avvilito, quando un primo colpo a quel becero individuo lo assestò un luminare dell’Université libre de Bruxelles, mantenutosi fino ad allora in disparte. Curato nell’aspetto e forbito nell’eloquio, costui si levò in piedi per rammentarci il celebre dipinto di René Magritte La Trahison des images, dove campeggia la scritta “Ceci n’est pas une pipe” (“Questa non è una pipa”).

 

 

La Trahison des images (René Magritte 1928-29 - Los Angeles County Museum of Art)

 

«La perrrfetta rrriproduzione di una pipà» osservò in Italiano, ma con un’elegante inflessione francese, «accompagnata dalla definisione che ne nega lo statiuto di realtà, indicà chiarrramente che la rrrappresentasione, perrr eserrre tale, deve rrracchiudere la negasione della sua rrrealtà!».

Seguì un imbarazzante silenzio. Il volto pasciuto del belga che, sulle prime, esibiva un sorriso fiducioso verso il pubblico, data la lentezza con cui quest’ultimo elaborava le sue deduzioni, impallidì. Un istante dopo, però, ebbe la prontezza di completare il discorso: «Ed è così che ha fatò Lallò De Bonìs, negando la “cossità” della “cossa pelosa”!».

 

 

Georg Friedrich Wilhelm Hegel (Felix Schlesinger, 1831)

 

Fu in quel preciso istante che la conferenziera siciliana emise un acutissimo: «Eureka!».

Ci bloccammo col naso per aria, pronti ad accogliere la sua scoperta. «È corretto quello che afferma il collega!», trillò lei. «Ed è in Hegel che si cela la soluzione!». Tutti assentimmo concordi.

Lei proseguì: «Infatti, nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito chiarisce che il pensiero dialettico deve contenere il suo negativo per esprimere la totalità. E solo in questa totalità che consiste il vero. Non ci possiamo stupire, quindi, che De Bonis ci abbia proposto una negazione: di fatti, mediante quel “NON” ha espresso un superamento della “cozzità” originaria; l’ha inserita, cioè, in un processo dialettico capace di completarla e trascenderla».

 

 

Ritratto di Ipazia (Disegno di Jules Maurice Gaspard)

 

Un’ovazione accolse le definitive parole della ricercatrice; la platea la inondò di applausi scroscianti, mentre i colleghi la abbracciavano, felicitandosi con lei per aver portato a termine così brillantemente i lavori. Tale fu l’entusiasmo che la issarono sulle spalle per condurla in trionfo lungo le gallerie e i bastioni del castello.

Commosso e svuotato dalla felicità, io rimasi al mio posto.

 

 

Taranto, Il Castello Aragonese, di notte

 

A sgattaiolare via come un ladro fu, invece, il professore dei miei stivali.

 

****

 

Ero molto dispiaciuto, però, che Lallo non avesse assistito al proprio trionfo, così come se l’era perso il mio amico, e vecchio allievo di De Bonis, Francesco Frigione. In quella trasferta, infatti, con dedizione filiale, aveva accompagnato in ogni spostamento il nostro Maestro. Perciò la mia soddisfazione fu duplice quando, a cena, al cospetto di una profumatissima impepata di cozze, potei narrare loro l'accaduto.

Lallo parve non dar peso al mio resoconto e si limitò a stringersi nelle spalle sorridendo. Io ne ammirai ancor più la sublime modestia: in lui il distacco dalle ambizioni umane toccava i massimi livelli!

 

 

Un paio di bicchieri di whiskey

 

Francesco, dal canto suo, parve stupirsi dell'andamento degli eventi. Quando la nostra fulgida Guida si fu ritirata in stanza, sorseggiando un whiskey al bar dell’albergo, mi confessò che la frase incriminata nasceva con ben altre intenzioni. 

 

-      «Quali?», gli chiesi.

 

-      «Beh, restando nel campo dell’estetica, devo rivelarti che, in questi giorni, il nostro Maestro è rimasto assai impressionato dalle qualità fisiche della gioventù tarantina, e, segnatamente, da quelle della sua componente femminile ...».

 

-      «E allora?».

 

 

Una bellezza somigliante a quella della giovane fiamma tarantina di Lallo

 

-      «E, allora, diciamo che ne ha apprezzato ancor più il tenore quando, ieri, in sala, ha incrociato lo sguardo di una stupenda fanciulla, una esuberante studentessa di filosofia, con la quale ha fissato per stamane un randevu qui, in hotel.»

 

 

Il mio amico Francesco equiparò, addirittura, l’entusiasmo di Lallo nello scorgere la studentessa a quello di Vittorio De Sica durante il mambo con Sophia Loren, in Pane amore e fantasia di Luigi Comencini (1953)

 

-      - «Ma dai!»


- «Sì, sì: l’ho visto con i miei occhi. Ti ricordi che Lallo, a colazione, ci ha riferito di non sentirsi troppo bene e che ci ha esortati a precederlo al Castello, dove ci avrebbe raggiunti più tardi?»

 

        «Sì, certo.»

 

«Ecco … mentre tu sei risalito in stanza per qualche minuto, io vagavo per la hall; da lì ho scorto la ragazza che entrava e Lallo che le andava incontro con grandi effusioni. Poi, dopo averla abbracciata e baciata, l’ha spinta di gran carriera nell’ascensore …». 

 

 

Il letto della stanza di albergo di Lallo

 

Accusai il colpo. Ma, ciò malgrado, glissai. Anche perché non comprendevo il nesso tra un questo antefatto e l’evento del pomeriggio. Perciò chiesi a Frigione di continuare.

 

-      «L’incontro amoroso della mattina e la frase della pausa caffè sono in strettissimo rapporto», proseguì lui. «Hai fatto caso che nel gruppetto con cui Lallo stava chiacchierando c’era anche quella laida professoressa di Storia della Filosofia, la romana che da anni prova a concupirlo?»

 

-      «Sì, ho capito chi dici ...»

 

 

La Duchessa brutta (Quentin Matsys, 1513 – London National Gallery)

 

-      «Beh, è acidissima, ma bisogna riconoscerle un gran occhio clinico. Si è resa subito conto della corrispondenza di amorosi sensi tra Lallo e la Venere locale. A quel punto, è sbottata in commenti velenosi sulle donne tarantine, arrivando a definirle "una massa di cozze"[1] E mentre gettava fiele, fissava la ragazza, che lanciava languide occhiatine a Lallo. È stato allora che lui è insorto come un indemoniato e ha urlato ai quattro venti che "la cozza pelosa tarantina non è una cozza!" ...   Adesso ti è tutto chiaro?».

 

 

L'Invidia (Jacques de Backer, 1570 - 1575 - Napoli, Museo di Capodimonte)

 

Fissai il mio amico che, davanti al mio spaesamento, fu squassato da un riso convulso. Rideva con me o di me? Non riuscii mai ad appurarlo con certezza.

 

 

«Frigione rideva con me o di me? Non riuscii mai ad appurarlo con certezza»

 

Ma la notte porta consiglio e ci aiuta a considerare nella giusta prospettiva gli aspetti più controversi delle umane vicende. Fu così che, all’alba del mattino dopo, avevo già rigettato la versione di Frigione.

Come, ne L’ultima tentazione di Cristo, Gesù diventa effettivamente “Il Salvatore”, rinunciando a una sorte pacifica e anonima e accettando il suo destino trascendente di martire, soltanto dopo l’incontro con San Paolo,che ne descrive alle genti la mitica morte sulla croce, parimenti, l’affermazione di Lallo andava trasposta sul piano figurato: soltanto così avrebbe parlato ai cuori.

 

 

Pitagorici celebrano il sorgere del sole (Fëdor Bronnikov, 1869 - Mosca, Galleria di Stato Tretyakov)

 

Perciò raggiunsi la certezza che Lallo ci avesse sottoposti a un’ulteriore prova, “tentandoci” con “il male della banalità”. E il mio amico Francesco aveva adottato lo sguardo “del diavolo”, abbassando eccessivamente gli occhi sulla realtà e ingannandosi su di essa.

Bisognava sollevarsi, invece, dal senso letterale all'allegorico, dal morale all’anagogico, così come era accaduto durante il nostro simposio, quando il grido di battaglia “la cozza pelosa tarantina non è una cozza” ci aveva irradiati di una luce nuova e rivoluzionaria.

E, grazie ad essa, l’anima collettiva si era finalmente inerpicata sulle vette più nitide e immacolate della Sapienza.

 


[1]  Ai pochi che ancora lo ignorassero, va segnalato che, in maniera greve e icastica, il gergo romanesco definisce “cozza” una donna brutta sino alla ripugnanza.