L'UOMO CHE AMAVA PARTIRE

L'UOMO CHE AMAVA PARTIRE

 

 

 

        Racconto breve di Francesco Frigione

 

Quando finalmente riuscii a parlargli, mi dette l'impressione che avesse patito un'ingiustizia o un abbandono, che, in definitiva, sono la stessa cosa ...

Qualunque fosse stato il motivo, lo aveva scalzato di colpo dal guscio, facendogli pigiare la vita in un bagaglio. Da quel momento in poi aveva raggiunto soltanto mete frettolose, tappe di ulteriori spostamenti.

 

 

 

L'unica occasione in cui gli parlai fu durante un umido pomeriggio autunnale, mentre vagava sul porto di Civitavecchia. Lo vidi trascinare il trolley fino a una bitta e da lì osservare gli uccelli marini.

Mi avvicinai con una certa apprensione e mi presentai. Gli dissi che mi ero già imbattuto in lui svariate volte e nei posti più imprevisti, tanto da crederlo un'allucinazione.

Non parve stupirsi delle mie parole; anzi, fu lui a spiazzarmi, affermando con un ghigno di essere «malato di futuro».

Quindi si rivolse di nuovo al mare, ai gabbiani, alle folaghe e alla grande nave in procinto di salpare, come se non esistessi.

Pensai che fosse pazzo e, una volta a bordo, perderne le tracce mi sollevò.

 

 

 

Eppure, quando, dopo qualche tempo, lo avvistai su un "electrico", a Lisbona, sentii che il rebus di questo instancabile viaggiatore mi stava ossessionando. Cercai, perciò, di raccogliere delle informazioni su di lui.

In effetti, molti lo avevano incontrato, ma senza stabilirci un rapporto. Magari gli avevano servito un caffè o venduto un giornale, però nessuno ne conosceva il nome, il lavoro, la storia, e così finii per annotare le ipotesi più disparate sul suo conto.

 

 

 

Di sicuro c'era solo che appariva in luoghi di attesa: sulla banchina di un molo, in una stazione ferroviaria, in un aeroporto. Sembrava che il suo volto affilato e triste si sporgesse verso qualcosa in arrivo e che le sue spalle alte e strette si rivoltassero contro l'umanità, che di lui, evidentemente, non pativa la mancanza.

 

 

 

Anche a voi, forse, sarà accaduto di ritrovarvi al suo fianco, in una di quelle noiose code per vistare il passaporto, o sotto la pensilina di un pullman in ritardo; magari ci avrete persino scambiato una battuta, dimenticandone dopo un attimo la voce. Perché la sua voce ha il timbro dell'alito di vento che sposta una carta sul selciato. E quella carta stracciata e incerta, quel residuo sfiorato dal nulla, mentre scrivo, traccia nuovi punti e nuove svolte di un invisibile percorso, un tragitto inconcepibile e immenso che riguarda l'uomo assai meno che il Tutto.

Ma l'uomo procede con la fede nel futuro:

un futuro che mai arriva e mai svanisce.