JACQUES TATI, PLAYTIME - Chapeau et parapluie a Monsieur Hulot

JACQUES TATI

PLAYTIME

Chapeau et parapluie a Monsieur Hulot 

 

 

 

 

        di Rossella Monaco

 

Playtime (1967), tradotto: “tempo di divertimento”, “ricreazione”.

Con la straordinaria mimica di Monsieur Hulot e dei suoi comprimari oggetti, il demenziale si fa gioco: sedie danzanti, poltrone respiranti, cappelli da suore e da passeggio animati, vetrate musicali, macchine di ogni tipo, tutti magicamente si esprimono con suoni e movimenti.

 

 

Jacques Tati fotografato da Bart van Dijk

 

Jacques Tati ci mostra un grande carosello dove i nostri giocattoli di bimbi si sono trasformati in trappole alienanti. Gli orchi-televisori ci divorano il tempo, gli scatoloni dove amavamo rinchiuderci a fantasticare sull’ignoto hanno preso le sequenziali sembianze delle cellule-ufficio, le macchinine e i cavalli delle giostre hanno messo il motore intrappolandoci come sardine in scatola. La scena delle automobili ruotanti senza sosta, a tempo di valzer attorno al rondò di una piazza oltre ad essere magnifica  è la chiave del divertissement. Gli adulti, bambini seriosi e seriali, sono stati plagiati e omologati alla perfezione per nutrire il capitale dell’economia. Non hanno più una loro identità, il loro sguardo è assuefatto; imitano senza consapevolezza azioni metabolizzate nel corso degli anni.

 

 

Jacques Tati in Playtime

 

Tati-Hulot è fuori dal coro. E non è solo un modo di dire, Monsieur Hulot non proferisce verbo, ha scelto il silenzio a favore della mimica corporea. Si distacca dalla massa, libero da condizionamenti pavloviani, non emette saliva quando sente suonare i campanelli dell’apertura dei negozi, in un mondo di marionette lui non ha fili.

Nel film, per ragioni di budget, sono state usate più volte delle silhouette a grandezza naturale al posto delle comparse, la forzata metafora casca a pennello. Jacques Tati è un poeta, nel film suona anche la corda dell’amore: vagando nella sua Tativille (la città futuribile del film costruita sul progetto di Tati nella periferia di Parigi), incontra Barbara, turista americana in viaggio ricreativo insieme a un gruppo di persone identificabile con uno sciame di cappellini con frutta e fiori. Barbara è morbida e viva, Hulot le vola intorno come un colibrì - il corteggiamento è discretissimo. Insieme se la spassano al ballo del ristorante, divertentissima sequenza di scene, alle quali deve essersi ispirato Blake Edwards per Hollywood party.

 

 

Blake Edwards nel 1966

 

In chiusura Monsieur Hulot dona un fiore a Barbara. Il fiore s’interseca con l’immagine di un lampione - risultano essere simili, petali e metallo -, le analogie sono evidenti. Con il fiore-lampione Jacques Tati ci mostra come la natura è matrice di ogni cosa, è la nostra unica fonte di ispirazione.

“Non si possono sfornare cibi in scatola”

Magia pura.

Chapeau et parapluie a Monsieur Hulot!

 

Per girare Playtime Jacques Tati perse la casa di Saint-Germain-en-Laye: l’aveva pignorata per sostenere le spese del film. Girato in 70 mm e con una colonna sonora stereofonica molto complessa per l’epoca, non rientrò delle spese. In Francia, Playtime  non ebbe il successo che meritava.

 

«PlayTime non assomiglia a nulla che già esista al cinema. È un film che viene da un altro pianeta, dove i film si girano in maniera diversa - scriveva François Truffaut - Forse PlayTime è l'Europa del 1968 filmata dal primo cineasta marziano, dal "loro" Louis Lumière? Lui vede quello che noi non vediamo più, sente quello che noi non sentiamo più, gira come noi non facciamo».

 

«Confusione è la parola della nostra epoca. Si va troppo in fretta. Ci dicono tutto quello che dobbiamo fare. Organizzano le nostre vacanze. La gente è triste. Nessuno fischietta più per la strada (…) Credo che il giorno in cui io non potrò più fischiare per strada sarà una cosa gravissima». [Jacques Tati (1907-1982)]