LA RESILIENZA - Studi nudi di improvvisazione teatrale

LA RESILIENZA

Studi nudi di improvvisazione teatrale

 

 

 

        di Federica Bassetti

 

AST COMPANY 

TEATRO STANZE SEGRETE di Roma

 

LA RESILIENZA

Studi nudi di improvvisazione teatrale

 

Si chiamava Georges Ivanovič Gurdjieff, era greco-armeno, reduce da un percorso in chiaro-scuro dalle pennellate surreali per il nostro abituale comodo buon senso di occidentali. Un’infanzia trascorsa nello sconosciuto Oriente della vecchia Europa, a spiare i racconti del padre, cantastorie di professione nel villaggio, a conquistare miti e insegnamenti settari già perduti, ad imparare professioni di tutti i generi, capace di segreti preistorici, nascosti in antiche liriche epiche macedoni, pronto a denunciare la civiltà greco-romana come antitesi della crescita dei popoli eredi, urlante con gesti netti e scoordinati, da esperto derviscio l’assenza di un’anima per l’uomo occidentale, tanto civilizzato quanto dimentico.

 

 Un edizione inglese de "I racconti di Belzebù per suo nipote", di Georges Ivanovič Gurdjieff -

 

Un'immagine dello spettacolo "La resilienza"

 

Poteva sembrare un venditore di cavalli, un incallito commesso viaggiatore dietro la pelliccia scura, la sigaretta penzolante dalle dita vissute e giallognole, i baffoni da turco, gli occhi di brace, seri, implacabili. Poteva sembrare un sacerdote, un danzatore rituale, lo sguardo lascivo, penetrante, seduttivo, a volte benevolo e salvifico in abiti chiari, da arabo, rischiarato anche il viso. Comprò una tenuta vicino a Parigi, nella Francia magica e doppia, cristiano- celtica, rivoluzionaria-imperiale, blasfema-bigotta, una tenuta appartenuta alla vedova dell’avvocato difensore del malcapitato Alfred Dreyfus, protagonista storico di un altro caso di doppiezza fin de siècle, che divide non solo la Francia ma l’Europa intera rivelando una spaccatura tra Oriente e Occidente così profonda da non essere colmata neanche dalle due guerre mondiali. Lì, Gurdjieff fondava l’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo, lì trattava gli intellettuali come cani costringendoli ai lavori umili, corporali, lì andava a morire la scrittrice Catherine Mansfield, lì come allieva si formava la Travers inventrice di Mary Poppins e nasceva l’amicizia con Frank Lloyd Wright, lì il maestro dagli occhi di brace accoglieva l’Occidente in discesa decò iniziandolo alla new age con un avvertimento: “la vita umana è da noi vissuta in forma di sonno, l’anima va costruita giorno dopo giorno, bisogna destarsi, trovare la coscienza superiore! Bisogna lavorare sull’anima, piantarla bene perché essa è solo un seme”. 

 

Un'immagine dello spettacolo "La resilienza"

 

Dopo un brutto incidente di macchina che lo lasciò quasi in fin di vita, recuperò la mole del suo lavoro ne I racconti di Belzebù a suo nipote, testo mistico, filosofico, storico e antistorico, diviso in tre libri principali, in cui tenta l’azzeramento dell’educazione occidentale e la costruzione delle fondamenta di un’anima nuova che si possa cibare dell’antico tesoro di Atlantide e di un mito della creazione davvero scomodo e assurdo. In questo libro, dove gli uomini vengono presentati come esseri tri-centrici, e cioè dotati di centro mentale, emotivo e somatico, ecco comparire ad un certo punto il teatro babilonese, ancor prima che i greci potessero essere greci e dire la loro sull'illusione rituale persino del loro capro tragico, che prima di divenire oggetto di gara e sceneggiato, era soltanto improvvisato. 

 

Un'immagine dello spettacolo "La resilienza" 

 

Soltanto? Finalmente, verrebbe da dire! Al teatro Stanze Segrete, a Roma, per tre giorni di fila, dal 13 al 15 gennaio i tre giovani e bravi attori, Patrizio Cossa, Max Vellucci e Giorgia Calcari, ossia Ast Company, hanno messo in scena un’interessante, insospettato per me che scrivo e racconto anche con stupore, riuscito esperimento di improvvisazione teatrale, sfilando qualche stimolo per l’affidamento dei ruoli e della situazione a richiesta dal pubblico, che viene però cerimoniosamente interpellato con due o tre domande nette sotto l’occhio di bue, strale di luce immediato. Una situazione che si crea a partire dalla suggestione di un paio di spettatori ma che dimostra con estremo rigore di poter essere qualsiasi cosa, con un suo filo magico di svolgimento che persino nelle pause rivela non l’assenza, ma la presenza dell’affiatamento. Gioco superbo, quello di potersi cimentare con qualcun altro, conoscendo per di più l’arte della recitazione e la voglia di raggiungere una risoluzione che possa essere anche un abbraccio sincero. 

 

Un'immagine dello spettacolo "La resilienza" 

 

La prima sera, lo stimolo viene da una signora del pubblico che all'attore Max comanda di essere un avvocato e alla ragazza della compagnia, Giorgia, consegna il pacco: tu hai investito un cervo. Quindi si narrerà di un’automobile distrutta per via di un’ubriacatura e sollevato il velo della sbronza, ecco la delusione amorosa. Maya d'altronde ne ha infiniti di veli e per non vederla nuda, situazione sconsigliata anche dal mito, si potrebbe andare avanti a strappare veli all'infinito. L’attore Patrizio entra, invece, nella storia da un altro lato e si miscela agli altri due con una certa sapienza ironica: veste, come amico, una sera in il ruolo l’irresponsabile di turno; la sera seguente, in qualità di nemico, il ruolo di viziato possessivo. E accade che il calore e la rivelazione della trama non inducano a commozione, ma a partecipazione emotiva concreta, senza immedesimazione nel personaggio, ma nel ruolo per così dire “emotivo”. Perché lo stato di difficoltà e di depressione, è qualcosa che sappiamo vissuto e risolto sul palco in modo semplice, a volte drammatico, ma non impossibile o titanico. Interessante e raro fenomeno di alleggerimento questo, che trascina lo spettatore a casa con la tristezza che sia durato troppo poco e con la certezza che l’improvvisazione non dovrebbe essere annunciata all'inizio dello spettacolo, ma alla fine. Per rispetto all'esperimento che non dovrebbe svelarsi subito e che il giorno dopo muta registro, completamente. Spalancando la porta su altre interiori battaglie. 

 

Un'immagine dello spettacolo "La resilienza"

 

E in tutto questo, Gurdjieff che c’entra? Perché scomodarlo? Bè, il maestro derviscio era difficile di gusti e spietato, forse sarebbe rimasto muto tra gli spettatori, credendo di aver visto in germe, ma soltanto in germe, quel che è stato dimenticato e cioè un teatro antico e ingenuo che rendeva indietro al pubblico convenuto, ruoli mai avuti o troppo stretti, passioni incapaci di essere civilmente scatenate, trasfigurazione e raggiramento personale. Avrebbe probabilmente raggiunto alla fine dello spettacolo - che è a tempo, con presenza sul palco di un timer fissato a 50 minuti - i ragazzi nel camerino, un’altra stanza piccola e bianca, appartata, e tra un colpo di tosse, uno sbuffo di fumo grigio e una smorfia satiresca avrebbe detto: «Bene. E adesso? Qualcuno avrà afferrato il gioco? E voi credete di poterlo afferrare? E allora? Leggete il mio Belzebù, per favore!».

I babilonesi invitavano a scelta il pubblico. Il teatro aveva un solo scopo. Gli attori non erano attori. Perché l’uomo è già improvvisatore. Poi iniziarono le maschere, le parti, poi le scuole, i copioni e quant'altro. Il vecchio mistico Gurdjieff, alias Belzebù, racconta questo su una astronave sorvolante la Terra a suo nipote, principe erede di Marte; racconta che alle persone del pubblico l’antica Babilonia affidava per gioco dei ruoli, si inscenava quindi l’improvvisata trasfigurazione, sciolta da qualsivoglia copione e direttiva, e non lo si faceva per divertimento, bensì per spostare il proprio centro, restando all'interno del gruppo di riferimento. Oggi posso essere ladro e farmi beffe del poliziotto che m’insegue, domani posso essere la maestra che corregge e sgrida il suo allievo e poi madre, padre, barbiere e prostituta, quello che non sono posso esserlo e farlo immaginare a chi mi vede. Scaricamento dello status familiare e civile, illusione rigenerante che nel sacro gioco ricarica tutti e tre i centri, senza sforzo, azzerando fatica, energie non utili e rinnovandone di nuove.

E l’operazione teatrale de Le stanze segrete ha, non a caso, un tema per così dire energetico, si chiama “La resilienza”, risposta positiva allo shock emozionale così come tutto, a lungo raggio, può rispondere positivamente, proprio a seguito di un trauma o di un serio cambiamento che invece di compromettere la struttura della psiche come quella di un solaio o di un’opera d’arte, ne mantiene l’armonia assestandosi in base ad altre regole, non evidenti e a volte neanche auspicabili. Ed ecco il sussurro di Gurdjieff, raschiato dall'eterna sigaretta senza filtro: « […] beh, la legge del Sette vi dice niente? [...] tre colonne da sole bastano per quattro o per cinque, se tornano altri rapporti e altre misure che sono intorno … cose perdute ormai … come le piramidi degli egizi …», e sembra di vederlo, mentre si allontana tra la gente, mescolandosi alle figure che si assembrano per ringraziare gli attori nello stanzino bianco attiguo alla stanza teatrale, dove si è svolto il rito ingenuo. “Resilienza” anche del pubblico, tanto impreparato al carpe diem a teatro da sentirsi sprovveduto, pur restando pubblico. Se ne va, il maestro più discusso e oscuro della storia moderna, a capo basso, giusto una sbirciatina nello specchio che ha reso doppia e tripla la visione della rappresentazione. Se ne va, senza essere visto e pare che bofonchi, poi, proprio all'entrata di questo teatro pieno di piccoli stupori, caldo, avvolgente e seduttivo proprio come le stanze segrete: «I giochi dei bambini sono proprio questi, i giochi dei bambini erano questi … ah, stupido, stanco Occidente … ancora ti meravigli?».

Ognuno di noi in una stanza che era a noi segretamente chiusa, la stanza da letto della mamma o della sorella, abbiamo trascinato l’amichetto e chiuso la porta, afferrato un cappello e tirato all'altro una sciarpa! Tu sei mio marito e io già ti tradisco, sotto al letto c’è la nostra refurtiva, nell'armadio la polizia rinchiusa. E adesso baciami! Deve essere come vero e recita bene la tua parte, se no non ci credo!