LA BOHÈME: VITA E PASSIONE E MORTE SECONDO PUCCINI

LA BOHÈME: VITA E PASSIONE E MORTE SECONDO PUCCINI

Teatro dell’Opera di Budapest

In scena fino al 7 gennaio 2017.

 

 

 

        Articolo di Vincenzo Basile Polgar

        Foto di Péter Rákossy

 

E’ un emblematico presepe quello che il fondale e la scena del primo quadro rappresentano come la soffitta, condivisa dai quattro squattrinati artisti, a Montmartre: Rodolfo il poeta, Schaunard il musicista, Marcello il pittore e Colline il filosofo rendono perfettamente il clima spensierato, “euforico con leggerezza”, di provvisorietà esistenziale, tipico del Quartiere latino della Parigi fin de siècle (‘800). 

 

 

  

Una recitazione sobria, essenziale nelle variazioni di sentimenti, nel canto come nel recitativo, impreziosisce il melodramma, arricchendolo fino alla sua conclusione. Lo si percepisce sin dall'inizio.

Per un classico dal fascino intramontabile non è poco; riuscire a mantenere le promesse insite nel mito.

Come non è affatto scontata la sinergia tra ciò che succede sul palco e quanto si produce nella buca, dove la musica si produce e si amalgama alle voci, durante le prove e poi davanti al pubblico in sala.

Merito rispettivamente del regista Christian Badea e del direttore d’orchestra Nadasdy Kalman, i quali riescono a evidenziare sia il sinfonismo pucciniano sia le molte varianti che intercorrono tra il calore passionale e l’ineluttabilità del dolore, tra la levità degli infatuamenti giovanili e il denso spessore delle relazioni adulte. Badea e Kalman evitano meticolosamente tutti gli insidiosi cliché in cui l’impresa corre il rischio di scadere. E tutto questo nei confronti di un pubblico, quello ungherese, che di sentimentalismi e sentimentalità la sa davvero molto lunga.

Durante tutto il secondo atto Il regista esplica l’ambiente umano, attraverso la socialità del quartiere, grazie all’efficacia delle scene e dei costumi di Gusztav Olàh e Tivadar Màrk. Essi mostrano lo smagliante splendore del quartiere, brulicante di vita e di colori, con i suoi ateliérs, i caffè e i ristoranti strapieni di avventori in vena di piaceri di ogni tipo, agghindati al meglio delle loro possibilità, e gli artisti di strada che decorano e musicano lo spazio cittadino, teatro di passioni e sollazzo nella notte che precede il Natale.

Il terzo quadro ospita, invece, il lungo presagio della tragica conclusione della vicenda: una lunga serata di riflessioni lungo i viali del giardino dove i due amanti si incontrano e confrontano le loro storie tra lo struggente passato, l’incerto presente e l’improbabile futuro.

 

 

 

I colori si appannano nel buio della notte e dei sentimenti e le cupe luci avvolgono ciò che la musica e il canto di Rodolfo e Mimì esprimono.

L’avvicendarsi di gioie e dolori, la compresenza di slanci vitali e orizzonti di morte, l’alternanza di speranza e di disfatta, amorosa e mondana - tema che scorre nell’opera -, e lo sforzo registico, sono consapevolmente indirizzati alla meta tracciata da Giacomo Puccini non soltanto nella Bohème.

La maestria della messa in scena consiste proprio nel riuscire a modulare la narrazione dalla leggerezza del primo quadro con l’intensità spettacolare del secondo e, infine, con l’intimismo cupo del terzo quadro, fino all’abisso finale.

Impeccabile la cura riservata del regista ai movimenti dell’ azione, alle traiettorie dei comprimari, nel percorrere gli ultimi istanti di vita di Mimì. Ed è l’intero teatro che precipita al boato dei timpani, confermando al contempo la riuscita dell’obbiettivo drammatico a cui la produzione mira e all’incanto della quale si partecipa.

Un successo determinato da una multidisciplinarietà di intenti artistici felicemente congiunti. E gli applausi sentiti e protratti lo confermano.

Dall’eccellente direzione musicale, equilibrata nella sua variabilità, alla regia coerente con la lettura popolare dell’opera, alla quale l’orchestra partecipa con un ottimo lavoro.

Charles Castronovo è un Rodolfo intenso e versatile, puntuale  all’appuntamento con l’acuto della “gelida manina”. Andrea Rost-Mimì, non gli è da meno, per tecnica, potenza e colori.

La forte Orsolya Hajnalka Roser, misurata e brillante Musetta, si guadagna il suo meritato applauso personale a fine secondo atto. Andras Palerdi offre un Colline portentoso anche nei gesti. Csaba Szegedi nel ruolo di Marcello e Zoltan Nagy nel ruolo di Schaunard, si rivelano cantanti assolutamente all’altezza, nonostante il non facile confronto con gli altri.

Grande il successo della Prima.