DA SHAKESPEARE AL '68, ALCHIMIA PERICOLOSA E REALE

DA SHAKESPEARE AL '68, ALCHIMIA PERICOLOSA E REALE

 

 

Romeo e Giulietta - Un amore ai tempi del web

Provocazione in forma di teatro di Claudio Pavoni

 

 

di Federica Bassetti

 

Come una piazza, un foro aperto alle tante voci, il Teatro Agorà, tradizionale nella storia del centro artistico romano di una volta e aperto alle revisioni sceniche di oggi, ha ospitato nell'ultimo fine settimana di ottobre, un esercizio artistico e dialettico a più livelli, diretto e interpretato dal noto attore e doppiatore Paolo Buglioni, affiancato dal giornalista e amico Claudio Pavoni.

 

 

Musica per aprire e chiudere l'esperimento teatrale, saxofono avvolgente di Thierry Valentini che va e viene, dove da maestro l'attore Buglioni diventa allievo di se stesso, spettatore, paroliere, alchimista, messo a nudo dal partner, “realista” sin troppo acuto e schietto.

Ludus” in fabula, verrebbe da dire però, una volta coinvolti nello spettacolo “Romeo e Giulietta”, perché il gioco dei livelli è sì come un'altalena ma alla fine quando poggiamo i piedi per terra, ci portiamo a casa una biglia che scotta: insomma, un grande comunicatore può dir di tutto, mescolando le carte come un prestigiatore, innalzando un granello a spiaggia o facendo di un valore millenario un lazzo.

Anche se il giornalista portato sul palco, può tirar le somme e azzerare tutto quanto, lui che in qualità di ospite, profana il rapsodo e ne svela i trucchi, ormai vecchi.

Si resta delusi allorché si pensa di aver assistito a qualcosa che lasci il segno e si preferirebbe addirittura piangere piuttosto che restare sospesi nel niente, farsi ancora una volta commuovere dal tragico suicidio amoroso che tutti conosciamo. E invece, quel pianto liberatorio ci viene negato. Complici dell'operazione, inconsapevoli del crimine che si prepara alle loro spalle, i due giovani Federica Corti e Stefano Sperduti, voci amoreggianti che al leggio riecheggiano gli amanti fatali e ben troppo noti, mentre serpeggia nell'aria, anzi fa da padrone tra la bella e fresca lettura di Shakespeare e la sua continua profanazione, il verme viscido e contorto del linguaggio che è camaleontico nella bocca dell'attore che conosce le sue possibilità sin troppo bene e che sa di essere giullare, fin troppo asciutto e tagliente tra le labbra del giornalista d'esperienza che schiaccia argomenti e tempi nella guazza sacra del quotidiano. E così, il misfatto teatrale é compiuto com'è vero che il teatro è lo specchio dell'uomo che riflette se stesso. E a guardarci bene in faccia o sollevando il capo verso l'immensa mediatica rete invisibile che ci sovrasta e avviluppa, abbastanza forata da lasciar passare mari di informazioni a pioggia, viene in mente che, in un mondo che comunica a distanza e alla grande in tutti i posti dove una volta regnava pressoché il silenzio, in bagno, a tavola, a letto, in macchina, quello che manca è proprio la comunicazione. E questo perché il logos, dono divino, non è creduto più talento e vanto dell'uomo e si svende lui eterno, in cambio di un labile riflesso meccanico o di una manciata di sms in spiccioli.

 

L'attore Paolo Buglioni

 

Se è vero che ogni clic e ogni scansione di fatti o persone, nutrono l'infinita memoria web all'infinito e se lo sconfinato pubblico di WhatsApp ha eliminato persino il telefono, a teatro se non hai voce il pubblico non ti sente e se fai qualcosa di brutto o di bello, si realizza solo in quel momento. Poi si dimentica, con il tempo. E cosi si può anche dire che Marylin é morta suicida liquidando il mistero della sua morte in due parole, tanto se l'ha uccisa la Cia o Bob Kennedy o la Mafia, il suo è un suicidio da quando è nata, si può dire che John Fitzgerald Kennedy e Jacklin fossero coppia perfetta, lui visitato ogni notte da una donna diversa, lei costretta nel ruolo illusorio di presidentessa, si può dire che il '68 ha scoperchiato i costumi e distrutto il pater familias, ma che forse poi ha l'unico merito di aver epurato i grembiuli dalle scuole.

E si può dire che in fondo le strade di Verona al tempo degli amanti suicidi, sono un po' come i marciapiedi del quartiere Prati ai nostri giorni o le piazzette pomeridiane di Balduina, popolati dai figli dei borghesi, sfrontati, attaccabrighe e bulli e che tra questi bulli c'è sempre un Romeo che poi si innamora e che con quell'amore rischia di restare ferito o addirittura ucciso.

E lì in mezzo tra i bulli ben vestiti e perdigiorno, c'è anche Mercuzio. Zeffirelli nel suo film lo immortalava ancor prima di farlo vedere morto ucciso per nulla, sognante e balbettante quel vacuo niente che si celava ghignante dietro la cortina del suo sogno. Buglioni sa di quel niente e lo prende d'assalto, in pochi minuti ci fa vedere le strade di Verona, i litigi, i Capuleti, i Montecchi, la baraonda, le urla e poi la fine.

Pochi attimi di gran Logos, quando l'attore fiuta lo slancio e cavalca l'attimo, erotico. Pochi attimi, soltanto per illuderci che Mercuzio non sia ancora morto.