IL SENTIMENTO DELLE “FALLAS”: la magia di Valencia.

IL SENTIMENTO DELLE “FALLAS”: la magia di Valencia.

(essere fallera nel 2016)

 

 

 

 

di Erica Di Francesco

 

Sentirsi parte della comunità di Valencia, vestita da fallera, non ha prezzo.

Voglio condividere con voi cari lettori questo momento magico, catturante e meraviglioso in cui mi sono volutamente ritrovata quest’anno. 

È un lustro, ormai, che scrivo della meravigliosa fiesta de las Fallas e ogni volta cerco di adottare un punto di vista differente dal precedente. Posso assicurarvi che, mai come in questo 2016, ho il desiderio di  comunicarvi l’immensa gioia che si prova ad essere “fallera”.

 

 

 

 

In abito fallero completo

 

Tutto è iniziato in un pallido pomeriggio di Novembre, dando lezione di inglese alla mia alunna Beatriz Hernani, eletta quest’ anno “fallera Mayor della Falla Se villa- Denia” .  Parlando, le ho espresso il mio desiderio di partecipare in prima persona, come fallera, all’Ofrenda (sfilata in abito d’epoca, che si svolge nei giorni 17 e18 Marzo e che culmina nel dono di un ramo di fiori alla Virgen de los desamparados, patrona di Valencia); lei con un sorriso gioioso mi ha detto: «Ti piacerebbe far parte della nostra falla?». Immaginate la felicità che mi ha pervasa a questa proposta!

 

 

Con la Fallera Mayor Beatriz Hernani

 

Come ho già raccontato precedentemente su queste pagine, las Fallas (in valenciano, “Falles”) si sviluppano, dal 1 al 19 marzo, ma è a partire dal 15, che si concentra la vera festa: le celebrazioni si diffondono anche nei paesini che contornano la città. Un altro modo di chiamarle è “fiestas josefinas”, sono eseguite, infatti, in onore di San Giuseppe, patrono dei falegnami. In teoria, la parola “fallas” si riferisce a quelle costruzioni di materiale ligneo combustibile, vere e proprie opere d’arte che ricordano i nostri carri del carnevale, rappresentative delle più svariate figure. In pratica, col tempo la parola è stata sempre più utilizzata per indicare la festività nel suo complesso.

Dopo una ricerca e alcune interviste rivolte agli artisti falleros e ai cittadini valenciani, ho scoperto che le origini  delle Fallas risalgono al principio del XVIII secolo: secondo una leggenda, i falegnami, alla fine di ogni inverno, bruciavano i propri "parots" (strutture alle quali si appendevano le candele per fare luce), dato che con l'arrivo della primavera e l'allungarsi delle giornate non gli erano più necessari. Con il trascorrere degli anni e l'intervento della Chiesa, la data del rogo dei "parots" è venuta a coincidere con la ricorrenza di San Giuseppe, patrono dei carpentieri.

 

 

Una gigantesca Falla in Plaza Ayuntamiento

 

La parola “Falla” deriva, in particolare, dal Latino "facula" (torcia), termine che si adoperava per indicare sia le torce che illuminavano i negozi di campagna sia per quelle che rischiaravano le feste. Più tardi il vocabolo passò a indicare le luminarie accese alla vigilia di feste straordinarie e patronali. Alla vigila di san Giuseppe si accendevano focolari per annunciare la ricorrenza, perciò questa pratica rituale prese il nome di “Falla”.

La tradizione si modificò, poi, nel tempo: alle semplici strutture in legno si aggiunsero i vestiti, così che esibissero una fisionomia umana, e si iniziò ad appendere cartelli che alludevano a qualche personaggio conosciuto del quartiere. Las Fallas assunsero quindi un significato satirico e burlesco, con lo scopo di attirare l'attenzione dei vicini. I bambini, poi, giravano per le case chiedendo tappeti vecchi (“una estoreta velleta”), tanto che nacque una canzonetta popolare per recuperare tutti i mobili e gli utensili antichi da bruciare in un rogo insieme ai "parots". Poco a poco gli abitanti del quartiere si unirono nel processo di costruzione di quelli che divennero veri e propri monumenti, rappresentazione di svariate figure e che attualmente giungono a vantare fino ai 30 metri di altezza.

Oggi le Fallas attraggono oltre un milione di turisti l’anno. Sono 365 i monumenti di cartone che si ergono in città, e più di 250 nel resto della provincia. Coordinano tutto ciò due istituzioni: il Gremio de Artistas Falleros - l'antico ente incaricato di assegnare la produzione dei monumenti falleri, e la Junta Central Fallera - l'ente che organizza la festa e s’impegna a mantenerla viva anche durante il resto dell’anno.

Trascinati da una corrente umana, si sperimenta la magia del 15 Marzo, giorno de “La Plantà”, nel quale vengono eretti i monumenti falleros. La mattina vengono impiantati quelli che concorrono nella categoria infantile; il pomeriggio e la sera si procede con i restanti. All'origine, la commissione giudicava le opere durante “la madrugada” (l’alba). Allora, tutte dovevano essere completate in giornata e ciò rendeva la gara più competitiva ed entusiasmante.    

Tutta la città appare finalmente invasa dai colori delle Fallas.

Dal punto di vista teorico già conoscevo perfettamente ogni dettaglio, eppure, fino ad oggi, non avevo colto l’essenza del rituale e l’ importanza assoluta che i valenziani gli attribuiscono. Il piacere di far parte di un “Casal Fallero” (ossia un gruppo di persone che si riuniscono presso una base fisica e lì condividono momenti conviviali, musicali, ludici etc), è straordinario. Ogni membro del Casal paga una quota annuale di partecipazione, contribuendo rigorosamente al mantenimento economico e logistico della sede, al cui interno si saldano conviviali amicizie. Il Casal Fallero è come un bar dove si ritrovano periodicamente giovani, anziani e bambini, ma questo bar, però, è di loro proprietà. È facile perciò immaginare il senso di appartenenza al gruppo e la difficoltà di un estraneo a penetrarvi.

 

 

Con il Presidente della Falla Sevilla-Denia, Andrés Garcia

 

Superato questo primo ostacolo, per cui ringrazio immensamente Beatriz e il Presidente della Falla, Andrés Garcìa, sono entrata a far parte del Casal fallero “Sevilla-Denia”, la cui “Fallera Menor Infantil” (ossia rappresentante dei bambini ) è stata Ines Ubeda, mentre il realizzatore della  Falla è stato l’artista José Luis Platero: la sua statua di Mafalda ha riscontrato un grande successo. 

Durante l’anno infatti i premi conseguiti dalla Falla sono stati i seguenti: il primo premio “teatro”; il terzo  premio per “spettacolo di lunga durata”; il primo premio per il “miglior montaggio” e “la migliore direzione teatrale”; il terzo premio per lo “spettacolo di breve durata”; il campionato di basket “vincitori JCF”; il quinto premio per la “presentazione”; il terzo premio come  “migliore attrice” conferito a Pilar Zaonero. I premi assegnati al monumento fallero, in particolare, sono stati: per la “Falla Grande”, il terzo premio per “la tecnica e la creatività”, nella categoria 4° a-B; nella Falla Infantil, invece (ossia il monumento più piccolo che affianca la falla grande) la Falla di “Sevilla-Denia” ha ottenuto il primo premio per il “miglior ninot” della sezione 13. Il ninot rappresenta, a sua volta, una piccola quota delle fallas e, quest’anno, è stata per la prima volta esposta nel “Museo Principe Felipe” del Complesso Città di Arti e Scienze, progettato dal famoso architetto valenziano Santiago Calatrava. Il miglior ninot della sezione speciale viene “risparmiato” dalle fiamme della notte del 19 Marzo, quella della “Cremà”, (dei “roghi”), non seguendo il destino di tutte le altre fallas e ninot.

 

 

Con i coniugi Aucejo e, sullo sfondo, la falla di Mafalda, creata da José Luis Platero per la Falla Sevilla-Denia

 

Ora potevo contare sull’appartenenza a una Falla, ma ancora non possedevo nulla: vestito, accessori, scarpe … Pertanto, mi sono immediatamente data da fare per non sfigurare con il mio nuovo gruppo di amici!

A questo punto, ho avuto una brutta sorpresa: ho scoperto che le cifre da fronteggiare erano davvero esuberanti. Nonostante l’anno passato avessi intervistato il famoso confezionatore e venditore di abiti falleri, Alvaro Moliner, e avessi avuto modo di soppesarne i costi (dai 300 euro in su al metro le tele più la sarta, gli accessori d’oro o d’argento ecc.) non avevo realizzato che la spesa per poter sfilare il giorno dell’Ofrenda si aggirasse intorno ai 1000 euro, pur mantenendomi nei limiti di rigide scelte economiche! D’altronde, noleggiare il vestito non mi sarebbe venuto a costar di meno: 600 euro minimo, a cui andava aggiunto lo “aderezo”  - il set di gioielli che comprende: “pineta” (pettini d’ oro o argento che vanno tra i capelli); spille varie; orecchini; una collana e un braccialetto; una “mantilla” - il classico velo di pizzo nero delle donne adulte, o bianco delle bambine e delle adolescenti; “espadrillas” - scarpe di tela intonate al vestito o semplicemente bianche, dorate o argentate; “pelo postizo” - capelli naturali o meno, che formano l’elaborata acconciatura di trecce e girelle, unite dagli accessori artisticamente inseriti tra le chiome.

 

 

Acconciatura fallera realizzata da Carmen Yago conl’inserimento di pineta e spille

 

Ero ormai rassegnata a rinunciare al mio sogno, quando ho riflettuto  che le mie conoscenze valenziane non mi avrebbero abbandonata, così come sempre accade se le cose le fai con il cuore, nel rispetto delle tradizioni altrui, e ti affidi all’amore del prossimo. Ho iniziato, così, a chiedere a tutti se potessero prestarmi un vestito, l’aderezo, i capelli posticci e una mantilla.  Certo non sarebbe stato semplice ottenere questi capi, visto che si tratta di  oggetti estremamente personali. Il vestito, ad esempio, è eseguito su misura, ed è intessuto con pregiate tele di seta, talvolta lavorate a mano, e con fili d’oro cuciti da sarte, mamme o nonne. Insomma sono abiti che non lasciano un minimo di margine nelle taglie ...

Una sera di febbraio, mentre passeggiavo per le vie gotiche di Barcellona ... mi squilla il cellulare: «Inizia a pregare la Vergine: ho un vestito di mia figlia da farti provare! L’ ho cucito io interamente a mano e te lo prestiamo volentieri.” Era la voce di Chelo, una signora adorabile, che d’accordo con sua figlia Alicia, mi annunziava il “miracolo”.

Qualche giorno dopo, tornata a Valencia, sono andata a provare l’abito, colma di apprensione. Con immensa gioia ho scoperto che, pur andandomi un po’ largo sui fianchi, mi scendeva bene! Così, potevo indossare finalmente il mio vestito rosso damascato a fiori lilla e dorati, realizzato a mano da una valenziana dal cuore generoso! Da quel giorno, un susseguirsi di telefonate mi hanno preparato alla festa: l’attesa del fatidico momento della sfilata si era fatta tanto emozionante che non stavo più nella pelle. Avrei portato l’aderezo di Ainoa e la mantilla della sua bisnonna, i capelli di Paquita e di Maria, e potevo contare sul sostegno di una serie di amiche pronte a prestarmi anche loro un vestito o un pezzo mancante, come Elena e Maria.

 

 

Falleras della Falla Sevilla-Denia durante la sfilata dell’Ofrenda a la Virgen

 

L’appuntamento con Carmen Yago, la parrucchiera di Calle Comedias, era fissato alle 11.00 del 18 marzo. Mi ha pettinata e sistemata con grande abilità, fornendomi consigli per potermi vestire al meglio prima, e poi aggiungere la mantilla come tocco finale.

Quindi, i signori Aucejo, che per me sono ormai come un altro padre e un’altra madre, mi hanno accolta a casa per la vestizione. Una volta completata, mi hanno accompagnata al casal fallero. Qui, ricevuto il cerimoniale ramo di fiori bianchi, mi sono messa in marcia, insieme agli altri, in coda alla nostra banda musicale, tutti diretti a la Plaza de la Virgen.

 

 

La parrucchiera Carmen Yago e la sua assistente

 

Ho proceduto adagio per le vie della città, splendenti di colori, mentre i petardi scoppiettano e il profumo dei fiori d’arancio mi riempiva le narici. Ho colto, in quegli istanti, l’essenza di Valencia. Mai come allora, la musica, la pioggia lieve scesa all’imbrunire, mi sono mai apparse più dolci e accoglienti; mai come in quei momenti mi sono sentita tanto parte della comunità, pienamente accettata per quello che sento di essere: un’italiana, cittadina adottiva, nella quale batte un cuore per metà valenciano.

 

 

Sfilando per le vie di Valencia

 

I pensieri si affollavano nella mia mente: tutti gli amici e conoscenti che mi aspettavano in Calle la Paz; la tradizione e l’origine di una festa ormai patrimonio dell’ umanità; i miei cari; tutti quelli che mi avevano chiesto di recitare per loro una preghiera alla Vergine; i bisognosi e a chi stava bene; insomma, avevo presenti in me tutti coloro che conosco, e mi sentivo carica di emozioni.

 

 

Valencia, Plaza de la Virgen, con la statua della Madonna vestita a festa di fiori dopo la  Ofrenda

 

Improvvisamente ho scorto, tra la basilica e il battistero, imponente ed umile, ricoperta di fiori e con lo sguardo rivolto verso il popolo, la “Virgen de los desamparados” (“Vergine dei derelitti”). E, in quel frangente, una lacrima di commozione mi ha rigato la guancia: ho intuito che non è il credo religioso, ma la natura della gente a fare la differenza tra il bene ed il male: ero la “fallera” più povera di tutta Valencia; avevo comprato solo le scarpe, eppure mi sentivo la più ricca, perché ogni singolo pezzo dell’opera d’arte che indossavo mi era stata prestata con sentimento. Ho avvertito che non esiste ricchezza maggiore dell’affetto degli amici, vecchi e nuovi, quell’affetto che ci si guadagna lungo il percorso della propria vita.

Mi sentivo - e mi sento - parte di questa gente meravigliosa, che con i suoi difetti e pregi mi ha fatto capire che “casa” è dove si vive, si comunica con gli altri, si interagisce. In quel momento epifanico ho sorriso, perché come dice il mio amato  Leopardi: «Chi sa ridere è padrone del mondo!»; un sorriso pieno gratitudine va a tutti i miei cari amici, alunni, conoscenti e concittadini valenziani.

Ecco la mia Valencia in Fallas: per apprezzarla davvero bisogna conoscerla a fondo, entrare in comunione con il suo popolo, rispettarla, amarla e aprirle l’anima … di modo che lei, soavemente, l’accarezzi.