L’ERCOLE 500 DELLA MOTO GUZZI

L’ERCOLE 500  DELLA MOTO GUZZI

 

 

 

         di Vittorio Pisano

 

Amici miei,

il ricordo lontano dell'infaticabile,  inarrestabile  motocarro  "Ercole"  500  della Moto Guzzi, che oggi appare uno "strano coso", m’immalinconisce l'animo non meno di quello delle povere maschere di carnevale in cartoncino di una volta, vendute a 10 lire!

 

 

Vi assicuro che In Italia non se ne vede più uno, neppure a cercarlo con il lanternino alle mostre/mercato di moto d'epoca, che pure frequento con una certa assiduità; quello che scorgete in foto l'ho scovato addirittura in Belgio (in vendita a 7.000 Euro).

Eh, sì, l'Italia è spesso "ingrata" con i suoi figli; lo è con questo come con  tanti altri che pure ... hanno meritato per la Patria! Figli modesti, è vero, ma anche preziosi.

 

C'è chi ardisce a dire che l'Ercole della Guzzi si spartisce in pari misura con il Piano Marshall il merito della ricostruzione delle macerie del Paese, dopo la fine della guerra!

Vi sembra esagerato ? Allora, forse, non ricordate gli Ercole …

Si trovavano dappertutto, nelle città e nelle campagne: grossi e ronzanti mosconi operosi, impegnati in un incessante via vai tra depositi di merci e punti vendita, tra "smorzi" di materiale edilizio e cantieri di costruzione.

Il lento "pum - pum - pum " dei loro motori riempiva l'aria, costituiva la colonna sonora della rinascita della nostra edilizia civile e della ripresa dei commerci.

In effetti, non  dovrebbe esserci bisogno di particolari conoscenze motoristiche per richiamarli alla memoria: facevano parte del vissuto quotidiano di tutti noi in quegli anni lontani, ragazzi e ragazze.

 

 

 

Lentissimi, quando ti passavano davanti il loro monocilindrico orizzontale a corsa lunga, con il grande volano del motore esterno che sembrava esattamente quello delle macchine "affetta prosciutti" della Ditta Berkel ( le ricordate almeno quelle? Le si incontrava in tutte le salumerie!), facevano uno scoppio qui e il successivo 50 metri più avanti!

Stracarichi, con le sospensioni schiacciate a "pacco" a fondo corsa, a volte ti suscitavano pena per l'eccessivo carico che gli veniva appioppato sul cassone, come quei muli  sovraccaricati da padroni crudeli.

Trasportavano di tutto: laterizi per le costruzioni (l'Ercole trascinava una tonnellata e mezza a 35 all'ora); metri e metri cubi di calce o pozzolana (spesso "impastate" direttamente sul cassone); cataste di rottami di ferro;  quintali di masserizie, traslocate insieme ad intere famiglie sedute sul cassone, con le gambe che penzolavano fuori; balle di fieno accumulate in pile alte come il secondo piano di una palazzina; piramidi di sporchi sacchi di juta pieni di mondezza (il servizio di N.U.  ai tempi dell'Ercole era spesso ancora affidato a piccoli trasportatori privati). Ma soprattutto caricavano quella che era la loro vera specialità: i calcinacci,"montagne" di calcinacci!

La simbiosi perfetta tra quel tipo di carico e la generosa portata del motocarro, autorizza quasi a ritenere che, a Mandello del Lario, sede della azienda, il progetto dell'Ercole sia stato partorito dalla mente dell'Ingegner Carlo Guzzi, pensando esclusivamente ai calcinacci. 

 

Erano proverbiali per non  fermarsi mai gli Ercole.

Avevano 5 marce più le ridotte (vedi nella terza foto, sotto al selettore del cambio, il selettore  più piccolo per le ridotte) e "si racconta" - lo dico per chi ha qualche conoscenza meccanica e voglia seguirmi – che, in prima ridotta, con carichi esagerati sul cassone e messo di fronte a forti pendenze, l'Ercole al disinnesto della frizione potesse magari piuttosto "tranciare i semiassi" posteriori e restare quindi fermo sul posto per interruzione della catena cinematica che trasferiva  il moto alle ruote,  ma il motore no, quello non si spegneva mai e continuava imperterrito a far sentire il suo caparbio: "pum - pum - pum".

Gli andrebbe conferita una medaglia al valor civile !

Mio nonno paterno aveva una falegnameria ed il suo vetraio di fiducia - un certo Basilio, con il quale collaborava nei lavori più grandi -, che possedeva un Ercole nella versione più sofisticata, munita di cabina di guida, seppure priva degli sportelli laterali.

l'Ercole era un veicolo rigorosamente commerciale, quasi il parto di una concezione calvinista del lavoro e dei commerci e le sue linee non concedevano  spazio agli orpelli e alle frivolezze. L'esemplare di Basilio, però, aveva una caratteristica tutta sua, che ne contrastava la rigidità e che tanto colpì la mia immaginazione di bambino.

Basilio era anche lui anzianotto, come e più di mio nonno, ma ad onta della sua età ogni centimetro utile delle pareti interne della cabina dell'Ercole, gli stessi bordi vetrati del parabrezza ed anche  la faccia superiore del panciuto serbatoio, erano letteralmente tempestati di figure adesive di donnine discinte (l'erotico vero e proprio, e più ancora il porno, erano di là da venire).

Alludo a quelle figurine di conturbanti Pin Up che erano approdate in quegli anni anche aldiquà dell'Atlantico, disegnate dagli illustratori USA, e che erano poi le stesse che riempivano le poche paginette fissate da una nappina che componevano i mini calendarietti profumati regalati a Natale da "compiacenti" barbieri (« ...arecazzì, attento però a nun fatte scoprì da tu padre..»), responsabili della iniziazione all'onanismo di generazioni e generazioni di adolescenti italiani. 

 


 

Se gli anni hanno cancellato  dalla vostra memoria le figure di quelle deliziose donnine, i maschietti "si facciano il regalo" di andare a riscoprire su Internet quelle conigliette create dalle matite di Joyce Ballantyne, di Peter Driben o di Gillette A. Elvgren, per capire di cosa io stia parlando.

Io, intanto, per conto mio, accludo a queste pagine quello che posso. 

Così, dalla cabina dell'Ercole di Basilio ammiccavano pistolere del west con larghi cappelli da cow boy e stivali decorati da borchie e fiocchetti di pelle. Le donnine indossavano disinvoltamente il cinturone con due Colt 45 nelle fondine direttamente sulla nuda vita, mentre un improbabile, succinto pantaloncino con spacchetti laterali lasciava pienamente ammirare cosce perfettamente tornite e sormontate da bianchi, prominenti culetti.

Non mancavano tenniste biancovestite, le quali, maliziosamente ritratte da dietro mentre si inchinavano a raccogliere palle dal terreno, sollevavano generosamente il gonnellino plissettato a mostrare, anche qui, cosce bianche come il latte e burrosi fondi schiena, i cui glutei letteralmente inghiottivano minuscole mutandine.

Nella parte alta del parabrezza dell'Ercole, giovani e vezzosissime signore passeggiavano su alti tacchi a spillo, mentre il barboncino al guinzaglio afferrava tra i denti e tirava in avanti, sollevandolo, l'orlo delle loro lunghe e scampanate gonne a pois. L' inaspettata  "birichinata" del cagnolino svelava in tal modo alla vista dei fortunati passanti lo "spettacolo" della parte alta delle loro cosce in giarrettiera e dei loro impettiti sederini, mentre le padroncine arrossivano e portavano alla bocca le graziose manine per mascherare il loro imbarazzato stupore.

 

Insomma, mentre sul manubrio dell'Ercole le mani di Basilio passavano  dalle leve alle manopole, e viceversa, con quella rudezza che la guida del "Guzzone" richiedeva, in tutto ciò che  circondava il guidatore compariva un tripudio di offerte irresistibili: curve femminili che stordivano; ammiccare di occhi che stregavano;  bocche rosso vermiglio socchiuse a cuoricino che si donavano ... 

 

 

Quando Basilio arrivava in falegnameria con il suo "pum - pum - pum" che lo annunciava con centinaia di metri di anticipo e con le lastre di vetro già fissate sul cassone posteriore (ricordate quelle incastellature in legno, a piramide, installate nei cassoni dei motocarri per trasportare in sicurezza i vetri, interponendo vecchie coperte militari tra le lastre e la piramide stessa?), insieme a mio nonno e al suo aiutante, caricavano sull'Ercole i mobili che dovevano essere  consegnati "giù a Roma" (noi vivevamo a Monte Mario e da lì ci si riferiva alla città in quel modo).

Spesso, se era pomeriggio o periodo estivo, in cui le scuole restavano chiuse, riuscivo a convincerli a far salire anche me per godermi la passeggiata. Montavo allora "a cassone", cioè rivolto all'indietro e con le gambe penzoloni e diventava un vero e proprio sballo quando arrivavo a convincere mio nonno e Basilio a far salire anche qualche mio amichetto!

«A Sor Vittò, ve pijate voi a responsabilità pe vostro nipote e pell'amico suo ....".

"A Basì, nun te preoccupà, so granni e nun so scemi!»

Era burbero mio nonno Vittorio - ma quale nonno allora non lo era - eppure con me, nella sostanza, cedeva più che con altri: ero il nipote prediletto, il figlio del figlio che, per cinque terribili mesi, lui aveva creduto caduto sul fronte Russo. E poi, dopotutto, portavo il suo stesso nome … 

 

Ricordo che al ritorno da quelle spensierate, magiche, irripetibili ed indimenticabili escursioni attraverso tutta Roma, dopo che noi due ragazzini avevamo respirato "a pieni polmoni" i gas di scarico che il (poco) risucchio della (lenta) corsa aspirava comunque dallo scappamento posteriore del motocarro fino al cassone, e quindi alle nostre bocche, quando arrivava il momento di affrontare la salita di Via Trionfale che ci avrebbe ricondotto a Monte Mario, l'Ercole  era così lento che qualche ciclista impaziente ci sorpassava...

Allora io ed il mio amichetto scendevamo al volo, per poi divertirci a rincorrere l'Ercole ed a salirci di nuovo sopra, mentre mio nonno e Basilio, senza accorgersi dei nostri traffici, chiacchieravano in cabina e fumavano il toscano.

Qualche volta nello scendere o nel risalire si cadeva pure , ma «...che te freca», tanto quelle nostre gambe in pantaloncini corti erano sempre già così tanto martoriate da ferite ed escoriazioni per le partite di pallone o per le risse tra noi "ragazzinacci" che una ferita in più, una in meno, cosa mai avrebbe cambiato?

 

Ogni tanto Basilio, non so se distratto dalle chiacchiere o dalle donnine,   mollava delle grattate così tremende al cambio (dal piccolo finestrino ovale sul retro della cabina vedevo la sua mano che "ballava" sul selettore senza trovare il giusto innesto) che a me, già allora sensibile al rispetto per la meccanica, si arricciava il viso in una smorfia  e mi venivano quasi le lacrime agli occhi, mentre automaticamente rivolgevo lo sguardo a terra aspettandomi di vedere i denti degli ingranaggi che, seminati dal motore, si spargevano sull'asfalto e scorrevano poi via sotto le ruote del motocarro. Nonostante ciò, l'Ercole … niente, imperterrito "digeriva" ogni maltrattamento e ci riportava sempre a Monte Mario, come un mulo rassegnato e fedele.

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L’ultimo mio ricordo personale del "caro" Ercole  risale a tempi più vicini:  un pomeriggio d'estate di pochi anni fa, un "amico di moto" di Bolsena,  Francesco,  che per il suo lavoro di tecnico dell'Enel ha girato per decenni tutto il Viterbese raccogliendo e collezionando moto d'epoca abbandonate nei campi e nei cascinali (è arrivato in certi momenti a possederne più di 800!) mi ha invitato ad andare con lui - auto e carrello al seguito - a ritirare alcuni mezzi che gli sono stati segnalati, in un vecchio casale appena fuori Tarquinia.

Siamo partiti emozionati e speranzosi per qualche buon "ritrovamento".

Essendo lui collezionista sfegatato di MV Agusta  (ne possiede una settantina), auspicava d’imbattersi in qualche illustre figlia della Meccanica Verghera o, quantomeno, che so, in qualche Beta "Camoscio" (la fabbrica toscana, tuttora attiva nella produzione di fuoristrada, che faceva buoni numeri di vendita nel Viterbese..). In qualunque caso, entrambi desideravamo non ritrovarci davanti al solito Stornello 125  o a qualche banale Gilera 150,versione Guardia di Finanza.

 

Una volta giunti a destinazione, l'anziano e simpatico proprietario del casale ci ha introdotti nel grande capannone del trattore e del ricovero attrezzi, dove i nostri occhi esperti hanno riconosciuto immediatamente una Parilla 125 sport, motore a due tempi, che occhieggiava da dietro ad una grossa gabbia di conigli. 

Bel "pezzo"! Sul manubrio mostrava pure la fascetta dei "motociclisti religiosi", come la chiamiamo noi, quella d'ottone che riproduce, sbalzato, il San Cristoforo protettore degli automobilisti e dei motociclisti, ed è addirittura anche equipaggiato con il caratteristico e raro "parapalle" (proprio così si chiamava quella specie di ciambella imbottita inserita tra sella e serbatoio) in tinta con la sella, incaricato di "accogliere e proteggere gli attributi" del guidatore in fase di frenata ...

E' vero anche che ai suoi tempi lo slogan dei detrattori diceva: "Parilla, chi la vende ride e chi la compra strilla", ma Francesco, incurante del detto, era interessato e ha provato a dare un cauto calcio alla pedivella d'avviamento  ... Ebbene, il pistone neppure risultava bloccato nel cilindro,  buon segno per un due tempi fermo da anni.

Infine si è accordato con il proprietario per 70 euro.

 

Abbiamo proceduto e, dietro a una catasta di cassette per la raccolta delle famose patate Viterbesi, sebbene si trovasse quasi al buio, non poteva passarci inosservata la caratteristica linea di una MV 125 "centomila lire" (si chiamava così perché via del prezzo). Il mio amico non stava, ormai, più nella pelle, quel ritrovamento era per lui il migliore dell'intera estate !

La MV appariva letteralmente sommersa dagli escrementi, stratificati nel tempo, opera delle tante galline e delle oche che abbondavano nell'aia del casale e intorno a noi,  ma Francesco l'avrebbe abbracciata ugualmente per il sottocoppa, facendole anche un vigoroso "succhiotto" sul serbatoio. Sicché, ha acquistato anche quella per 100 euro (ma lui sarebbe stato disposto a pagarla 5 volte tanto …).

Soddisfatti, siamo usciti dal capannone, spingendo a mano le due moto, per caricarle sul carrello, e solo a quel punto ci siamo accorti che, sotto una catasta di legna da ardere, faceva capolino il serbatoio di un vecchio Ercole.

Lo abbiamo riconosciuto immediatamente per via del suo caratteristico colore "rosso Guzzi" e per il selettore delle marce del cambio a mano, presente sulla destra del serbatoio stesso. Si trattava di un pezzo raro, troppo raro perché il mio amico potesse mantenere la calma; aveva infatti la voce incrinata mentre si rivolgeva al vecchio:

 

«Maestro e de quello quanto volete che domani  torno a prennelo col camion ?»

«No giovanò (noi avevamo tutti e due perlomeno una sessantina d'anni in quel momento..), mo  stateve bono co quello, ché er mi fijo ha detto che, se quello parte, se lo tenemo noi».

 

L'espressione di Francesco sembrava quella di un ragazzino che al Luna Park avesse appena visto l'artiglio della pesca teleguidata lasciare ricadere il pupazzetto più desiderato..

Mentre il vecchio si allontanava a cercare un po’ di benzina, noi, non senza un certo timore di "incontri ravvicinati" con qualche serpe, abbiamo liberato il serbatoio e la sella dalle decine e decine di chili di legna che li ricoprivano e quando l’anziano è tornato con una "mezza litrata" in una bottiglia, abbiamo svitato con difficoltà il grosso tappo metallico a vite,  bloccato dagli anni.

Il vecchio ha versato la benzina, facendone cadere fuori una buona metà e con la poca che era entrata - passando sul bocchettone di riempimento, dove si era accumulata la sporcizia dei decenni - ha portato dentro terra, pezzi di corteccia d'albero, insetti morti ed escrementi di bestie varie.

Una "cicchettata" energica fino a far uscire benzina dalla vaschetta del carburatore ed il vecchio ha cavalcato la grossa sella ormai priva di ogni traccia di rivestimento e ridotta ad un telaio di molle arrugginite.

Al terzo  - dico terzo! - calcio:  l'inconfondibile e regolare:  "pum - pum - pum" è tornato a far sentire la sua voce per le campagne di Tarquinia, preceduto dalla grossa fumata bianca del pistone che ha bruciato l'olio depositato dagli anni nel cilindro.

 

«… No, giovanò, questo se lo tenemo !».

 

Ci ha detto che erano più di 10 anni che non andava in moto ...

 

Eppure, oggi, i "fighetti" che entrano nelle concessionarie Harley Davidson per regalare dai 20.000 Euro in su e avere il privilegio di mettersi sotto al sedere "accumuli informi di ferro"( … anzi, come diceva anni fa uno che conoscevo bene e che se ne intendeva:  «quattro palate di ferraccio buttate sotto ad una sella»), tecnicamente superati già negli anni '30, quando quegli stessi modelli oggi in vendita vennero progettati, si permettono di arricciare il naso guardando dall'alto della loro incompetenza le Guzzi e sostenendo che quelle moto non sarebbero altro che le Harley "taroccate dei poveri" ...

Chissà se qualcuno di loro sa che, già nei primi anni '50, la Guzzi ebbe la capacità di progettare e costruire una 8 (anche  qui, ripeto8) cilindri 500 cc. da Gran Premio, che nella sua primissima versione sperimentale aveva già il 30% di potenza in più rispetto alla migliore concorrente dell'epoca ...

 

Eh ... l'Ercole

Ripeto: una medaglia al valore civile glielo dovrebbe conferire il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; il "Guzzone" se la meriterebbe davvero se trionfassero la giustizia e la conoscenza delle cose! 

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Sempre in tema motoristico, ma passando ad altro: 15 giorni fa mi sono regalato una meravigliosa Fiat 600 2° serie, del '58, motore I° tipo (633 cc.), a vetri discendenti (non quindi il primissimo tipo del '55/'56 a vetri scorrevoli) e fanalini anteriori sui parafanghi, esattamente come ce l'aveva mio padre, un’auto che cercavo assiduamente da mesi.

Dopo 58 anni, risulta preservata in condizioni rigorosamente originali (è iscritta ASI), con la sola eccezione dei cerchi ruota e coppe verniciati (tutti e due insieme!) in un grigio tipico delle serie successive e non nel  caratteristico giallino, con coppe lucidate.

Provvederemo...

L'ho trovata in un paese, Pontecagnano Faiano, della provincia di Salerno, e debbo ancora organizzarmi per andare a ritirarla.

        Trasmetto questa informazione non certo per vanità, di cui potrei venire sospettato qualora stessi comunicando l'acquisto di una Porsche 911 Cabrio, ma solo per introdurre a tutti voi una specifica richiesta : tutti, ma proprio tutti abbiamo avuto una 600 dentro casa; o ce l'aveva nostro padre o nostro zio o quel tale cugino di nostra madre ... Infatti, La Fiat 600 ha davvero "dato 4 ruote a tutti gli Italiani" ed è parte ineliminabile della "storia" della famiglia italiana del dopoguerra,  a favore della quale ha lavorato infaticabilmente, come tante preziose  "zie", senza peraltro lamentarsi quasi mai (salvo per i suoi famigerati problemi di surriscaldamento estivo dell'acqua del radiatore) ... a differenza delle zie vere.