FUOCOAMMARE

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FUOCOAMMARE

Una tragedia raccontata attraverso gli occhi innocenti di un bambino.

 

 

 

        di Serena Di Marco

Fuocoammare, documentario di Gianfranco Rosi vincitore dell’Orso d’oro, è stato anche l'unico film italiano in concorso alla 66esima edizione del Festival di Berlino.

Il film (già in sala dal 18 febbraio) ci racconta di profughi africani e mediorientali che scappano dalle guerre, attraverso gli occhi “un po’ particolari”  di un bambino di Lampedusa: Samuele

 

Il documentario, infatti, è stato girato sull'isola posta più a sud delle nostre coste nel corso di un anno. Vi compaiono: un paesaggio invernale, le rocce, il mare accarezzato dal vento, una comunità di pescatori legata alle tradizioni e  alla famiglia, tutti immersi in questo confine simbolico dell'Europa.

Il protagonista della storia, ha dodici anni e va a scuola; ha un occhio pigro e usa  la fionda per giocare. Samuele comunica con gli uccelli sparando contro il cielo. Vuole imparare ad andare in mare proprio come facevano suo nonno e suo padre.

 

Gli altri personaggi sono lo zio pescatore, la nonna,  Pippo, che lavora in   radio, e tutti gli altri abitanti di Lampedusa, che ci avvolgono in questa grande tragedia raccontata a largo delle coste.

 

Il regista dichiara di aver respirato a lungo e lentamente l’aria di questa terra aspra, e ciò si avverte, poiché la sua percezione sedimentata e progressiva, matura, è quanto ha contribuito alla piena riuscita del documentario, che ha il potere di colpire lo spettatore dritto al cuore. 

 

Un’altra persona che ha contribuito a rendere questo lavoro eccellente è Pietro Bartolo, il medico che, a Lampedusa oltre che dei pazienti locali si occupa di accogliere gli immigrati, (aiutati in ogni modo anche da tutti gli altri  lampedusani).

Con il suo lavoro, Bartolo ha salvato molte vite, persone provate e smarrite, che, sperando in un’esistenza migliore, hanno patito mille sofferenze, prima di arrivare a quel mare Mediterraneo che a volte salva, ma, a volte, crudelmente uccide.

 

Rosi non ci parla attraverso immagini come quelle che quotidianamente vediamo nei telegiornali, bensì ci offre un altro punto di vista: ci mostra la realtà come la scorgono gli occhi dei personaggi, testimoni di una tragedia in corso, proprio davanti a loro. E a noi. Tante persone muoiono in mare e nessuno fa nulla, continuiamo a osservare questo orrendo spettacolo  restando impotenti e muti; è questo il messaggio di grande spessore etico lanciato dal documentarista, il quale ci narra un'esperienza umana che le sue immagini ci fissano per sempre nella memoria.

 

Rosi ha filmato la morte di molte persone; si è trovato davanti una dura realtà e ha dichiarato che per lui è stato difficile trasporre tutto ciò, decidendo tra quelle immagini strazianti quale risultasse più appropriata al suo discorso.

Una toccante dichiarazione del regista è stata: «Il mio pensiero più profondo va a tutti coloro che non sono mai arrivati a Lampedusa, a coloro che sono morti. Dedico questo lavoro ai lampedusani che hanno accolto me e accolto le persone che arrivavano».

 

La dignità e il calore umano annullano i confini di razza e di lingua: è questo un mondo in cui speriamo.