“ALCHEMY” DI POLLOCK: SCANDALOSO RESTAURO AL PEGGY GUGGENHEIM MUSEUM DI VENEZIA

“ALCHEMY” DI POLLOCK: SCANDALOSO RESTAURO 

AL PEGGY GUGGENHEIM MUSEUM DI VENEZIA

 

 

 

        di Anabel Ciliberti

 

        Shock al primo impatto con Alchemy (1947), l’opera appena  restaurata di Jackson Pollock. Probabilmente, l'action painter si rigirerà nella tomba per quanto è stato fatto ad uno dei suoi primi dripping. Il metodo e la concezione di questo artista, che ha rivoluzionato la pittura negli anni ’40 del secolo scorso, erano quasi performativi: una danza sciamanica scaturiva dal suo inconscio, andando a toccare le più sottili corde della tela stesa sul pavimento. Pollock adoperava colature, tubetti direttamente spalmati sul supporto, bastoncini e anche siringhe da cucina. La sua era una liberazione dalle sofferenze più intime, un “atto sacro”. 

 

        L’opera nasceva per mutare nel tempo, come il destino avrebbe stabilito.

 

 

Jackson Pollock, Alchemy (1947)

 

Jackson Pollock, Alchemy (dopo il restauro del 2015)

 

        Ci pare davvero un atto di deplorevole scadimento commerciale quello compiuto dagli studiosi e dai chimici dell’Opificio Delle Pietre Dure di Firenze, un arbitrio inammissibile, il trasformare in colori elettrici quelli che restano opachi negli altri quadri attualmente esposti del pittore americano. L’eccessiva brillantezza mi ha inorridito e allontanato dalla tela di uno dei maestri più ammirati e amati della modernità. La sua opera è sempre stata prioritariamente materica e il colore, seminascosto dagli impetuosi gesti, ha sì importanza, ma non tale da dover essere restaurato nel tempo. Non stiamo parlando di un affresco, ma di una tela, che aveva il diritto di subire la sua trasformazione nel tempo, mostrandosi più sbiadita e con meno materia di prima.

        Cito Lucy Flynt: «Se si osserva quest'opera a distanza, le grandi dimensioni e l’equilibrio di forze fanno sì che il dipinto sia vissuto come ambiente»[1].

        La Flynt parla di un quadro destinato ad essere vissuto come “ambiente”. Sottolineo e ripeto la parola ambiente, perché allude a una condizione che muta nel tempo; come nelle opere di Land Art, che nascono e si trasformano, per decisione degli autori.

        Grandi contraddizioni si evincono, dunque, da questo irreparabile restauro. Augurandomi che non si ripeta mai più nulla del genere, che ciò riguardi Pollock o o altri artisti, i quali prendono decisioni consapevoli quando scelgono i materiali e le tecniche per eseguire le loro creazioni. Essi, più o meno implicitamente, considerano la durata, la documentabilità e la vita da donare alla propria opera.

        In foto sembra chiaramente un effetto magico il nuovo risplendere dei colori che appassivano nel tempo, ma si tratta di una ingannevole manipolazione per attrarre turisti. Nel mentre, i veri amanti dell’arte si sentono traditi.