SHAKESPEA RE DI NAPOLI

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SHAKESPEA, RE DI NAPOLI

 

 

 

        di Libero Spartaco

 

SHAKESPEA, RE DI NAPOLI

Di Ruggero Cappuccio

Teatro dei Conciatori

Via dei Conciatori, 5 - Roma

dal 7 al 26 aprile 2015

 

Shakespeare è fonte inesauribile d’ispirazione e misteri. Forse qualcuno ricorderà che nel 1988 il colonnello Gheddafi in un intervento al Parlamento tunisino aveva sostenuto che il colonialismo ha derubato gli arabi di tutto, anche di Shakespeare, che in realtà si chiamava sceicco (Sheikh) Esbij (o “Espero”). Un’ipotesi non conclamata, ma meno improvvisata, è quella secondo cui il Nostro sarebbe Michelangelo Florio, nato a Messina (dove è ambientato “Tanto Rumore per Nulla”) nel 1564, figlio di Giovanni Florio e Guglielmina Crollalanza, scappati in Inghilterra per sfuggire alla Santa Inquisizione perché calvinisti. Il suo cognome sarebbe la traduzione letterale del cognome della madre: Shake (“scrolla”) - speare (“lancia”). 

 

Tra realtà e fantasia, un mistero ancora irrisolto è quello della dedica dei Sonetti, probabilmente scritti a partire dall’ultimo decennio del XVI secolo, soprattutto nel periodo di chiusura dei teatri di Londra, a causa della pestilenza del 1592-93. Nell’edizione di Thomas Thorpe del 1609, l'unica pubblicata quando Shakespeare era ancora in vita, si legge:

«All'unico ispiratore di / questi seguenti sonetti / Mr.W.H. ogni felicità / e quella eternità / promessa /dal / nostro immortale poeta / augura /colui che con buon augurio /si avventura nel / pubblicare»[1].

 

 

La dedica dei Sonetti di William Shakespeare

 

In effetti, i sonetti 1-126 sono dedicati al fair youth (mentre quelli successivi alla dark lady, figura femminile oscura e opposta a quella del giovane), oggetto di un amore "ispirato e profondo", d’incerta natura che si colloca tra il platonico, il paterno e il sessuale. Il sonetto 20 lo mostra come "padrone-padrona della passione" («Master Mistress of my passion»), una sorta di androgino, che ruba gli sguardi degli uomini e stupisce gli animi delle donne («Which steals men's eyes and women's souls amazeth»). Il personaggio non ha connotati precisi: come detto, si evince che è bello/biondo (fair) e giovane (youth), ma non vi sono ulteriori dettagli che ne consentano l’identificazione.

La reale identità di "Mr. W. H." non è quindi mai stata chiarita e ciò ha generato un gran numero di speculazioni. Tra queste, Oscar Wilde, che ha dedicato al tema Il ritratto di Mr W. H. (The Portrait of Mr. W. H.), propone si tratti di un giovane di nome Willie Hughes (in virtù di alcuni giochi linguistici con le parole Will e Hues, presenti in vari sonetti) e crea un ritratto immaginario di questo misterioso personaggio. Wilde si basa tra l’altro sulla tesi avanzata nel 1873 da C.E. Brown, secondo cui Hughes era il musicista preferito dell’anziano Conte di Essex, ma il dublinese lo presenta come un seducente ragazzo-attore che lavorava nella compagnia di Shakespeare.

 

 

Ciro Damiano e Claudio Di Palma in scena

 

Ed è qui che interviene la lettura offerta da Ruggero Cappuccio in “Shakespea Re di Napoli”, già “Premio Speciale Drammaturgia Europea nel 1994”, riproposto al Teatro Conciatori di Roma dal 7 al 26 aprile 2015, a 20 anni dalla prima, con l'autore come regista e i medesimi due interpreti di allora, Claudio Di Palma e Ciro Damiano. Per Cappuccio, che sposa la lettura di Wilde, il giovane napoletano di nome Desiderio sarebbe W.H. e l'attore-fanciullo del teatro di Shakespeare, il primo e indimenticabile interprete di Viola, Desdemona, Rosalinda, Giulietta.

Nella rappresentazione, Desiderio – per cui il suono del nome di Shakespeare suona come il refolo del fiato di un morente - racconta a Zoroastro, senza essere creduto, brani della sua avventura inglese. Ha finalmente trovato la forza di esporre la sua verità (trovata infine la forza di dare delle spiegazioni da tempo rinviate), dopo avere abbandonato Londra a causa della peste, unico superstite di un naufragio che lo ha riportato in qualche modo a casa. Nella fantastica ricostruzione offerta, anni prima Shakespeare era giunto a Napoli per trovare una fonte d’ispirazione e sotto le mentite spoglie del Viceré, complice il Carnevale, aveva eletto il sedicenne Desiderio a sua Musa, conducendolo immediatamente in Inghilterra, senza che egli potesse neanche informarne Zoroastro, che tuttavia lo aveva seguito da lontano nella sua corsa verso l’imbarco.

Per il senso del testo possiamo affidarci alle parole dello stesso Autore, che descrivono così adeguatamente un’opera sospesa tra sogno e realtà, in cui il confine tra i due appare labile e incerto:

«“Shakespea Re di Napoli” nasce da questo perché: la morte è quel sogno ad occhi chiusi che nella vita facciamo ad occhi aperti. … Solo il non detto è degno di essere letto. Solo i silenzi possono veramente essere ascoltati. Il conflitto e confronto del teatro elisabettiano con le forme espressive della Napoli barocca sono i presupposti per l'invenzione di una sinfonia del dire specchiata in significati e ritmi che tendono alla sospensione assoluta di una storia nel tempo. La menzogna, l'indimostrabilità, la falsificazione dei fatti come gesto eversivo in grado di estendere i confini della verità sono in questa scrittura le luci che affermano e negano ogni cosa. Dopo tutto l'arte somiglia alla ricerca di prove che dimostrino eventi mai accaduti. Forse».

Il “forse” conclusivo si lega bene alle interpretazioni fantasiose o fantastiche del genio inglese (…o siculo?) che da secoli si susseguono senza che, fortunatamente, si possa mettere la parola fine alla forza dell’immaginazione che i suoi capolavori continuano a suscitare.

Un grazie a Cappuccio per alimentare questo percorso, anche attraverso due attori che con una prova di grande intensità e passione aiutano a trasporre un lavoro non semplice in modo convincente (malgrado alcuni passaggi in napoletano del ‘600, possano essere compresi solo dai più eruditi conoscitori della lingua), con qualche concessione anche alla straordinaria tradizione comica partenopea in un contesto per lo più drammatico. La sala gremita e gli applausi conclusivi, lunghi e partecipati, sono la migliore testimonianza dell’apprezzamento del pubblico, cui ci associamo senza riserve.

 

Regia: Ruggero Cappuccio

Autore: Ruggero Cappuccio

Interpreti: Claudio Di Palma e Ciro Damiano

Costumi: Carlo Poggioli

Musiche: Paolo Vivaldi

Aiuto Regia: Nadia Baldi

 

 


[1] Traduzione tratta da Wikipedia.