L’AMICO CHIAMA E IO RISPONDO

L’AMICO CHIAMA E IO RISPONDO

L’introversione di Lallo de Bonis

 

 

 

         di Ugo Derantolis

 

        Qual è il valore dell’introversione nella cultura occidentale, che privilegia radicalmente i riferimenti “esterni” all’individuo? Come fare spazio alla dimensione psichica “interna”, da cui affiorano le più straordinarie innovazioni intellettuali, artistiche e spirituali dell’uomo? Come possiamo accedervi, evitando l’adozione acritica di modelli orientali, che si tramutano per noi in sovrastrutture artificiose e inefficaci?

        Ancora una volta Lallo De Bonis illumina con il suo geniale esempio il cammino della profondità più autentica e rivoluzionaria, ergendosi a cavallo tra aspirazioni individuali e orientamenti sociali.

 

Riporto in proposito una storia recentissima.

 

 

Nei due mesi scorsi, il grande pensatore partenopeo ha accampato innumerevoli scuse per non convocare il nostro circolo di devoti  discepoli. Neppure l'organizzatrice degli abituali rendez-vous filosofici, Marina, è riuscita, in quel tempo, a oltrepassare le porte di casa e a parlargli direttamente. Lallo aveva eretto un muro inviolabile, motivo per chi lo ama e lo ammira di ambasce e di seria preoccupazione. 

Inevitabilmente, ci siamo abbandonati a una ridda d'ipotesi: "Forse sta male"; "Deve essersi offeso per qualcosa che gli è stato detto o fatto"; "Avrà perso interesse per l'insegnamento" ... 

Eravamo oramai invasi dallo scoramento, quando Lallo ci ha dato appuntamento, come se nulla fosse, in una nota libreria-caffè di Piazza Bellini, a Napoli, per svolgervi una delle nostre chiacchierate filosofiche. 

Abbiamo tirato un sospiro di sollievo e ci siamo presentati in massa all’incontro.

Appena lo abbiamo scorto, ci siamo stretti a lui in un tenero e caloroso abbraccio, ringraziandolo di non averci lasciati orfani del suo Logos. Lallo è parso molto contento delle dimostrazioni di affetto e ha ricambiato le effusioni. 

Rispettando la sua proverbiale riservatezza, ci siamo trattenuti a stento dal chiedergli cosa avesse causato quel periodo di impenetrabile isolamento. Innegabilmente, per altro, una volta seduti nel locale, abbiamo iniziato a frugare in ogni gesto ed espressione del nostro aio, alla ricerca di indizi rivelatori, e abbiamo atteso che ci rivolgesse qualche confidenza. A dispetto di ciò, Lallo, si è limitato a sorbire un’industriale quantità di tè e a coltivare una laconicità soddisfatta e rotonda. 

Non resistendo oltre alla curiosità e al turbamento, uno degli amici più cari, infine, ha rotto gli indugi, domandandogli per quale ragione avesse evitato la nostra compagnia così a lungo. De Bonis è esploso allora in un moto d'inusuale irruenza; ha deposto la tazza, proclamando stentoreo:

«Quando l'amico chiama io rispondo!».

Quindi si è sigillato in un silenzio ermetico, definitivo. Tutti noi siamo allora piombati nello sconcerto e, chiusa la riunione, ci siamo dispersi mestamente. 

 

 

 

Nei giorni a seguire, abbiamo molto riflettuto sull'accaduto, ognuno traendone le proprie conclusioni. Quella a cui sono giunto io, dopo molte false partenze, esitazioni e aporie, è quanto segue: va premesso che Lallo suole scrivere racconti e romanzi, per puro diletto personale, senza alcun desiderio di pubblicare. Io stesso, talvolta, ho avuto l’opportunità di leggere dei suoi fogli volanti, imbattendomi in pagine di meravigliosa letteratura. Sciaguratamente, De Bonis, appena conclusa un’opera, la brucia e nulla di quanto ha creato si salva.

Ecco che il senso del suo evitarci, preferendoci una solitudine creativa; la scelta del luogo, una libreria; del modo in cui rincontrarci, bevendo; e, in ultimo, l'accorata reazione al quesito sulla sua assenza, formano evidentemente una concatenazione di simboli indissolubile e necessaria.  

Mi spiego meglio: gli amici a cui de Bonis si riferiva nella sua piccata risposta non sono quelli concreti del simposio – ciò renderebbe, infatti, le sue parole illogiche e paradossali -, bensì i personaggi forgiati dalla sua immaginazione creatrice, quelle figure di cui si era preso cura nei mesi precedenti, negandosi al mondo. Agendo diversamente avrebbe rischiato l’inaridimento personale, un pericolo che egli ci ha mostrato di saper sventare, attraverso l’atto allusivo di bere assiduamente tè. 

 

Proprio in occasione del mio onomastico, dunque (Sant’Ugo cade infatti il primo di aprile), sento di aver ottenuto in dono da Lallo un nuovo e fulgido ammaestramento, che potrei sintetizzare in un monito:“Ricorda che è la vita delle immagini  interiori a precedere, guidare, irrorare e fertilizzare quella del mondo reale”.