BREVE STORIA DELLA CONCESSIONE ALLO ZUCCHERO

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BREVE STORIA DELLA CONCESSIONE ALLO ZUCCHERO

 

 

 

«L’unica differenza tra me e un isterico è che io non sono isterico»

Jean-Martin Charcot (1870)

 

        Breve racconto isterico di Ugo Derantolis

 

 

Per l'intervista mi ricevette a casa.

La fama dell'attrice non era usurpata: dal vivo, irradiava una bellezza selvaggia.

La cameriera si allontanò. Mentre mi accostavo al divano, capii che desideravo gettarmi ai piedi della diva e baciarle la mano. Ma m’imposi di stringergliela con studiato distacco.

Inciampai nel gatto; la bestiola schizzò via con un urlo. Caddi a faccia avanti sulle sontuose cosce di lei e, istintivamente, le afferrai i polsi. Fu così che, per portare a compimento il gesto originario, mi misi a scuoterle le braccia freneticamente. La donna lottò per sottrarsi alla presa.

Non ne sono sicuro, ma, nella concitazione, mi pare che lei si lamentasse, implorandomi di lasciarla, e scalciasse sul mio petto con i tacchi a spillo, mentre scivolavamo, avvinghiati, a terra.

Rialzatomi, guardai dove sedermi, senza aiuto da parte sua, dato che era impegnata a ricomporsi i capelli e a strofinarsi le dita con un tovagliolo. Insistette in quello strano lavoro fino a renderle viola.

Mi parve un po’ turbata. Le chiesi se fosse così.

Lei, senza rispondere, si allungò fino a un vicino scrittoio e mi lanciò una boccetta d’inchiostro di china. Schivai l’oggetto, che s’infranse sulla parete immacolata alle mie spalle. La guazza corvina si espanse in tutte le direzioni, come un’istantanea del Big Bang.

Vedendola allibita, provai a risollevarle l’umore: con allegria, commentai che le era bastato un solo movimento per trasformare un’anonima parete nel più suggestivo degli affreschi astratti. A quel punto, le domandai se l’appassionasse l’action painting.

La splendida creatura s’imperlò di sudore; le delicate narici si dilatarono come le froge di una puledra: mi apparve più che mai imperiosa e seducente. Ma, ancora una volta, mi ostinai a celarle la mia ammirazione.

Lei restò a lungo incerta sul da farsi. Sembrava aver abbassato la testa come per lanciarsi in una carica immaginaria. Ora, ammisi, qualcosa di lei richiamava di più la figura dell’ariete adirato che della giovane cavalla al galoppo. Le domandai se era quello il suo segno zodiacale.

Questo interrogativo la sbalordì e l’ammansì di colpo. Magicamente mutò espressione e riacquisì l’assoluta padronanza di sé.

Si sedette languida sul divano e mi fissò con uno sguardo che non era uno sguardo, ma un invito martellante, torrido, fatale.

Portò sensualmente alle labbra una tazzina fumante. Sorrideva maliarda, adesso, e la voluttuosa spirale che s‘innalzava dalla bevanda le sfiorava come una foschia il viso.

-      «Ne prende un po’?», mi chiese, accennando alla caffettiera d'argento sul vassoio.

- «Perché no ...»

- «Zucchero?»

- «Sì, grazie»

- «Due cucchiaini?»

- «No, uno, uno soltanto, la prego … UNO SOLTANTO!», strillai.

E abbandonai la casa, furibondo.